A CASA ‘E GALANTOMANI, BUSSA CH’ I PEDI.
A casa di signori, bussa coi piedi.
Amaro riferimento del povero all'avidità dei potenti, i "galantuomini" appunto, cui bisogna rivolgersi con le mani cariche di doni (e pertanto bussare alla porta con i piedi).
2. A CASA ‘E ’MPISU NON ‘MPENDIRI LUMERA.
A casa d'impiccato non appendere neanche la lucerna.
Non parlar di corda in casa d'impiccato.
3. A CASA ‘E RICCU NON SI GUARDA FOCULARU.
A casa di ricco non si guarda il focolare.
Quando vai da chi ha la dispensa e la cantina ben fornite, non temere: si mangerà sempre bene, anche se la cucina ("focularu") è spenta.
4. A CASA ‘I FORGIARU, SPITU ‘I LIGNU.
In casa di fabbro, spiedo di legno.
Il colmo dei colmi: il fabbro usa lo spiedo di legno e non quello di ferro.
5. ‘ A CCHIU BRUTTA È ‘A CUDA ‘U SI SCORCIA.
La più brutta da scorticare è la coda.
La parte conclusiva di ogni impresa è la più difficile: in cauda venenum.
6. ACQUAZZlNA NON PARINCHI PUZZU.
La rugiada non riempie il pozzo.
Con le briciole, con le minuzie, col soldino dato e ricevuto, non ci si arricchisce.
7. AD ACINA AD ACINA SI PARINCHI LA MACINA.
Ad acino ad acino si riempie la macina.
Esattamente il contrario di quello precedente.
8. A CU NON AVI FIGGHI
NON CERCARI NÉ FOCU NÈ CUNSIGGHI.
A chi non ha figli non chiedere né fuoco né consigli.
La maternità rende la donna matura e comprensiva. Se hai bisogno di un piccolo favore o di un consiglio, va' da una mamma.
9. ‘A DONNA ‘E BBONA RRAZZA
‘I CINQUANTANNI PORTA ‘M BRAZZA.
La donna di buona razza a cinquant'anni porta in braccio.
Buon sangue non mente. A cinquant'anni, la donna "'e bbona rrazza" ha ancora un lattante.
10. ‘ A FACCIA CHI NON CUMPARI
CENTU DUCATI ‘I CCHIÙ VALI.
La faccia che non si mostra vale cento ducati di più.
La fanciulla riservata è apprezzata molto più di un'altra.
11. ‘ A FIGGHIOLA FIMMANA ‘NT’A FASCIA
E ‘A DOTA ‘NT’ A CASCIA.
La figlia femmina è ancora in fasce, e la sua dote deve essere già pronta nella cassa.
Le madri contadine di una volta avevano l'incubo della "dote": lenzuola, coperte, asciugamani ecc., tutti filati e tessuti a mano, fra stenti e privazioni; ci voleva una vita per fare un corredo. Perciò bisognava cominciare per tempo, prima forse che la "figghia fimmana" nascesse. Questa era considerata un mezzo guaio, una "cambiale".
12. A FILA TIRATA TESSI PURU ‘A CRAPA.
Se le fila del telaio sono preparate, può tessere anche la capra.
Quando tutto è organizzato, previsto, avviato, chiunque può portare a termine un lavoro. Nel caso specifico, quando sul rustico telaio l'ordito è steso, la trama, la navetta e il resto sono in ordine, anche una... capra può tessere.
13. ‘A GALLINA FACI L'OVU E ‘U GALLU CARCARÌA.
La gallina fa l'uovo e il gallo fa coccodé.
Simile al n° 31. "Carcariare" è il verso proprio della gallina che ha deposto l'uovo.
14. ‘A GALLINA ORBA* ‘I NOTTI PASCI.
La gallina cieca mangia di notte.
Il significato è piuttosto oscuro. Forse è un'allusione a chi, pur menomato, riesce, per vie sotterranee, ad arrangiarsi.
*Continua il lat(ino) orbus, come nel toscano popolare.
15. ‘A GATTA PRESCILORA FACI I GATTUZZI ORBI.
La gatta frettolosa fa i gattini ciechi.
Presto e bene mai avviene.
16. AGGHIUTTIRI GROMULA.*
Inghiottire rospi, letteralmente amarezza, dispiaceri.
Si dice quando si è amareggiati, costretti a incassare guai e angosce magari tacendo.
*(a)gromalaru è propr(iamente) il ‘melo selvatico’agriómēlon LG
.
17. A GIUGNU STAJU COMU SUGNU
A GIUGNETTU NON CACCIU E NON METTU.
A giugno resto come mi trovo, e a luglio non tolgo o metto niente.
In pratica, il "saio" del povero, del contadino non cambia col cambiare delle stagioni. Prudenza, o non piuttosto miseria? Intanto:
18. AGUSTU E RIGUSTU È GIÀ CAPU D'IMBERNU.
Agosto è inizio d'inverno.
...e allora non è più il caso neanche di pensarci.
19. AMA CORI GENTILI E PERDI L’ ANNI
MA CU' VILLANI NON FARI DISIGNI.
Ama chi ha animo gentile e perdi la tua vita, ma non avere a che fare con gente villana.
Perdi pure i tuoi anni migliori ad amare una persona di buoni sentimenti, ma non fidarti di chi è rozzo e villano.
20. ‘A MADONNA U T’AXURA.
La Madonna t’infiori.
Frase augurale rivolta per lo più a un benefattore, specie se ragazzo o ragazza. In Puglia il corrispondente è "Pozza fiurì".
21. A MAJU NON CANGIARI SAJU.
A maggio non cambiare la tua "mise".
Non fidarti dei primi caldi.
22. AMA L'AMICU CU LU VIZIU SOI.
Ama l'amico col suo difetto, così com'è.
Se vuoi veramente bene, accetta, dell'altro, anche i difetti.
23. ‘A MALA NOVA ‘A PORTA ‘U VENTU.
La "mala nuova" la porta il vento.
Le cattive notizie arrivano subito, quasi misteriosamente, sul filo del vento.
24. AMARU CU È NUDU, MA CCHIÙ AMARU CU È SULU.
Misero chi è nudo, ma di più chi è solo.
La solitudine è la più triste delle povertà.
25. AMARU CU ‘NDAVI BISOGNU.
Misero colui che ha bisogno.
Misero chi ha bisogno di chiedere, chi deve attendere qualcosa da altri.
26. AMARU CU NON SI RASPA CH’ I MANI SOI.
Misero chi non può grattarsi con le proprie mani.
Somiglia un pò al precedente, ma con qualche sfumatura: chi non fa da sé, non sarà mai soddisfatto.
27. AMARU U PICCIULU CHI VAJ ‘NT’ O ‘RANDI.
Povero il piccolo che viene divorato dal grande.
Il pesciolino piccolo viene sempre divorato da quello più grande. Il "randi" è l'incubo dei piccoli, degli ultimi, degli indifesi.
28. AMICI, MA FORA ‘A ‘NTERESSI.
Amici, ma interessi a parte.
29. ANIMA SI’ E ANIMA CRIDI.
Sei un’anima, e devi credere che anche gli altri ce l’abbiano.
Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te.
30. A PASCA E NATALI SPARMANU* I VILLANI,
D’ I PARMI E D’I XJURI SPARMANU I SIGNURI.
A Pasqua e Natale fanno sfoggio nel vestire i villani, alle Palme e a Pentecoste i signori.
I signori non attendono le grandi festività per sfoggiare i vestiti nuovi.
*sparmare ‘pompeggiarsi, vestirsi magnificamente’D; si può confrontare con il laziale sparmeggià ‘ricoprirsi di frutti’ detto dell’olivo,per cui vedi DIt.
31. ‘A PECURA (o anche: ‘A CRAPA) SI MUNGI
E ‘U ZIMMARU* SI DOLI.
Viene munta la pecora e si lamenta il caprone.
Si dice di quando si lamenta altri di chi dovrebbe.
*. Lo "zimmaro" è il maschio della pecora o della capra, che, in questo caso, è sfruttata Da greco tardochímaros ‘becco giovane’ D; LG.
32. ‘ A PORCELLA MAGRA LLA GHIANDA SI ‘NSONNA
La scrofa magra sogna le ghiande.
Si sogna, si pensa, si almanacca su ciò che si desidera: nel caso specifico, il maiale affamato "sogna" le ghiande.
33. A QUANDU A QUANDU MI MISI MU ‘STRAIU*
VI’ CA MI VINNI MOLLU LU CILIJU**.
Una volta tanto che ho voluto insaldare il filato per la tessitura, vedi un po’, ho fatto molle l'impasto.
Una volta tanto ho tentato una piccola impresa, e pure m'è andata male.
*strájiri ‘ammatassare,annaspare’< lat.extrahere D.
**ciliju ‘bozzima’< gr(eco) chylízō ‘inamidare’LG.
34. ARANGI ARANGI CU ‘NDAVI GUAI MU SI CIANGI.
Arance, arance, che ognuno pianga i propri guai.
Si dice in senso dispregiativo, quando ci si chiude nel proprio egoismo e sui guai degli altri si vogliono chiudere gli occhi e il cuore.
35. ARBURU CHI NON FACI FRUTTU TAGGHIALU D’ U PEDI.
L'albero che non porta frutto, taglialo dalle radici.
Non aver pietà per l'albero che non porta frutto.
36. ARRASSU* ‘I CCÀ E DI TUTTI.
Lontano sia da noi e da tutti.
Frase d'obbligo e di scongiuro, quando si parla di un qualsiasi male terrorizzante.
* lontano (etimo ignoto).
37. ARRITAGGHIA, ARRITAGGHIARI
‘I ‘NA VESTA FICI ‘NU FARDALI*.
Taglia e ritaglia, da un vestito è venuto fuori un grembiule.
Lo stesso significato ha il detto che segue:
* ‘grembiule’; da ‘falda’ DEI; DIt sotto voce fàuda.
38. ARRITUNDA, ARRITUNDARI
‘I ‘NA PORTA FICI ‘NU MANDALI.
Arrotando e piallando, da una porta ha fatto un nottolino.
Il falegname pignolo e maldestro, a furia di piallare e rifinire, da una
porta ricavò il nottolino ("mandali").
39. ‘A RROBBA BBONA FINU ‘A PEZZA
‘U BONU VINU FINU ‘A FEZZA.
La stoffa buona è tale anche quando è un cencio, e il vino, se buono, lo è fino alla feccia.
Le case — e le persone — se hanno buone qualità le conservano sino agli estremi.
40. ‘ A RROBBA D’AVARU VAJ ‘MMANU ‘O SCIAMPAGNUNI.
La roba dell'avaro viene sperperata dal prodigo.
Di quello che l'avaro accumula, ne fa poi scialo il prodigo.
41. ‘A RROBBA SI ’NDI VAJ C’ ‘U PATRUNI.
La roba va via con la morte del padrone.
Finito il padrone, ogni cosa va in rovina.
42. A RROVINA NON CI VOLI SPARAGNU.
Nella sciagura non si può fare economia.
Quando una sciagura si abbatte su di un povero diavolo, bisogna che
trovi comunque i soldi per fronteggiarla.
43. A TAVULA E TAVULERI
SI CANUSCI LA DAMA E ‘U CAVALERI.
A tavola e al tavolino da gioco si riconosce la dama e il cavaliere.
Saprai se hai a che fare con una gentile dama e con un perfetto cavaliere, osservando come questi si comportano a mensa e al tavolo da gioco.
44. A TIA LLÀ TI VOTANU ‘ I CRAPI.
Il tuo gregge batte sempre quella strada.
Il pensiero, l'attenzione, l'azione sono polarizzate sempre verso ciò che ci interessa.
45. ‘AUNDI NON T'APPARTENI NÉ MALI E NÉ BENI.
Di cosa che non ti appartiene, non dire né male né bene.
Astieniti dal giudicare ciò che non ti riguarda.
46. ‘ A VERA MARITATA SENZA SOCERA NÉ’ COGNATA.
La vera maritata è senza suocera e senza cognata in casa.
Una donna, per essere felicemente sposata, non deve avere in famiglia ingerenze di suocera, o di cognata, o di chicchessia.
B
47. BARBA XURITA TENI CARA LA ZITA.
Chi ha la barba fiorita di bianco, tiene cara la giovane sposa.
Lo sposo maturo ha molta cura della sua sposina.
48. BARCA STORTA E VIAGGIU DRITTU.
Veliero malconcio e buon viaggio.
Non scoraggiarsi mai alle prime difficoltà. Il vento della fortuna cambia.
49. BASTA L'OSSU U STACI ‘MPEDI, C’ ‘A CARNI VAJ E VENI.
È importante che le ossa stiano insieme; la carne, il grasso va e viene.
Finchè si resta in piedi, e non ci si mette a letto, tutto va ancora bene: essere grassi o magri non importa molto.
50. BASTA U CADI ’NA PETRA
E SI SDARRUPA TUTTA L'ARMACERA*.
Basta che ne cada una sola pietra ed il muro a secco viene tutto giù.
Se il tutto non è compatto, se qualcosa comincia a sgretolarsi, già è la rovina. L'armacera è l'immagine della famiglia, della società, di ciò insomma che s'è messo insieme con amore e fede, e comincia a franare inesorabilmente se solo c'è uno scricchiolio, una lacerazione.
*Da armacìa ‘muro a secco’ < greco hermakía, con influenza di macera, che deriva dal lat. maceria ‘muro di pietre’ DIt.
51. BELLU ’MBISTA E TRIVULU* ‘N CASA.
Bello a vedere e tristo in casa propria.
Affabile con gli estranei, villano in famiglia.
* Trúvule con varianti ‘torbido’ da un lat. ricostruito turbulus D.
52. BENEDICA, BENEDICAMU
CCHIÙ POCHI SIMU MEGGHIU STAMU.
Benedetti, benediciamo, in meno siamo e meglio stiamo.
Questo detto, come altri simili, è ispirato alla miseria cronica del nostro Meridione (solo negli ultimi decenni la situazione economica è alquanto mutata): una bocca in meno è un sollievo.
53. BENEDITTA CHILLA PASTA
CHI DI VENNARI S’IMPASTA.
Sia benedetta la pasta (ed il pane) che si fa di venerdì.
Una leggenda popolare narra con molta grazia che il panno bianco con cui la Veronica asciugò il volto del Cristo sofferente, fosse il ‘ fantasino’ (grembiule) che aveva addosso nell'impastare il pane. Il Salvatore, per questo gesto gentile e coraggioso, benedisse lei e tutte le paste che si sarebbero impastate di venerdì.
54. BON CI CRISCI.
Ben vi s'accresca.
"Vi si accresca ogni bene". Saluto augurale che si fa a chi sta maneggiando dei beni per dimostrare che il visitatore non ha invidia nè malocchio, ma si compiace.
55. BRODU ‘I LANZOLA, PINNULI ‘I CUCINA,
E SCIRUPPU DI CANTINA.
Ricetta sicura per rimettersi in salute: brodo dí lenzuola, manicaretti di cucina e vino di cantina.
C
56. CAMPA SUMERI CA MAIU VENI.
Campa somaro, che maggio giungerà.
Campa cavallo...
57. CANI CHI ABBAIA ASSAI MUZZICA POCU.
Can che abbaia non morde.
58. CARRIARI L’ACQUA C’ ‘U PANARU.
Trasportare l’acqua nel paniere.
Significa fatica inutile quanto sciocca impresa.
59. CASA FRABBICATA FOSSA SPALANCATA.
Costruita la casa, pronta la tomba.
La casa nuova porta male. Il malocchio opera funestamente, secondo radicate credenze.
60. CASA PICCIULA E FIMMANA ‘NGEGNOSA.
Casa piccolina, donna geniale.
La donna "ngegnosa" sa sistemare tutto in poco spazio; ha molte risorse anche se mezzi ristretti.
61. CA’ SCUSA D’ ‘U FIGGHIOLU
‘A MAMMA SI MANGIA L'OVU.
Con la scusa del bambino, mangia l'uovo la madre.
Saper trarre profitto, senza parere, da ogni occasione. Sembrare, ma non essere, disinteressati.
62. CCA TI VOGGHIU, CANI ‘I CURSU, A ‘STA SAGLIUTA.
Cane da corsa, voglio vedere come affronti questa salita.
"Qui si parrà la tua nobilitade".
63. CENTU L'ALLOCHI, E UNU L'AFFOGHI.
Cento figli li metti a posto e uno solo lo rovini.
Chi ha tanti figli li sistema presto e meglio di chi ne ha uno solo. E’ simile a quello che dice "Undi’nc'è una, ‘nc'è a mala furtuna".
64. CHILLU C’ARRIVA A ‘NA URA
N’ARRIVA A CENT'ANNI.
Ciò che arriva in un momento non arriva in cent'anni.
Si attende a lungo qualcosa che poi arriva improvvisa.
65. CHILLU CHI SI SCIPPA CH’I DENTI SI ‘NDAVI.
Abbiamo quello che riusciamo a strappare con i nostri denti.
Quello che si riesce a rosicchiare, quello si ha. Se non ti arrangi, sei morto.
66. CHILLU È OMU ‘I PANZA.
Quello pensa soltanto alla sua pancia.
Del mangiatore e bevitore, di chi è capace di vendersi per un piatto di lenticchie.
67. CHILLU C’ ‘U PANI MORÌU, CHILLU C’ ‘U FOCU CAMPÀU.
Sopravvisse colui che poteva scaldarsi e non colui che aveva da sfamarsi.
Si muore più di freddo che di fame.
68. CHILLU È ‘U VERU AMICU CHI TI DUNA MENZU FICU.
Il vero amico è quello che, possedendo un solo fico, te ne dà la metà.
Neanche un fico intero. Chi divide con te il pochissimo di cui dispone, dà prova di vera amicizia e di affetto.
69. CHILLU S'ARROBBA PURU ‘A BARRITTELLA SUA.
Quello è capace di rubare il suo stesso berretto.
Il ladro matricolato, pur di rubare, ruba anche a se stesso.
70. CCHIÙ FORTI È ‘A TIMPESTA
CCHIÙ’ PRESTU VENI ‘A CARMA.
Più violenta è la tempesta, e più presto viene il sereno.
Dopo gli scroscianti temporali, si ha subito il sereno. Bisogna avere fede, dice questo proverbio, anche nelle più gravi avversità.
71. CCHIÙ SCURU D’ ‘A MENZANOTTI NON POT’ESSERI.
Come il napoletano: “Dicette o scarrafone: Po’ chiovere ‘gnostro (=inchiostro) comme vo’ isso, cchiu niro’ e comme songo nun pozzo addiventà”.
72. CCHIÙ ‘U CAVALLU È IESTIMATU CCHIÙ SI LUCI ‘U PILU.
Più imprecazioni ha il cavallo e più bello e prestante diventa.
Ha buona sorte alle volte chi è più maltrattato.
73. CIANGI E ARRIDI COMU ‘A GATTA ‘E SAN BASILI.
Piangi e ridi come la gatta di San Basilio.
Si dice a chi passa con facilità dal riso al pianto. Cosa c'entra la gatta di San Basilio lo sapevano forse i nostri vecchi.
74. CIANGITIMI A MARITUMA CA E’ ‘ND’AIU M’ABBALLU.
Piangete voi mio marito morto, io devo ballare.
Argutissimo modo di dire di quando qualcuno delega altri a occuparsi delle proprie cose, anche se della massima importanza, per potersi sollazzare.
75. COMU È ‘U TEMPU SI MENTI ‘A VILA.
Come è il tempo, si mette la vela.
76. CORNUTU E VASTONIATU.
Cornuto e bastonato.
Subire il danno e la beffa.
77. COSI NOVI, SIGNURI, PURU CA SU' VASTUNATI..
Signore, mandateci qualcosa di nuovo, anche legnate!
La vita monotona è stagnante e terribile.
Si preferisce il nuovo, anche (per esagerazione) se non lieto.
78. CU’ BELLA VOLI PARIRI PENI E GUAI ‘ND’AVI A PATIRI.
Colei che bella vuole apparire, pene e guai deve soffrire.
Significato chiaro. Proverbio diffuso in molte regioni.
79. CU’ DASSA ‘A VECCHIA P’’A NOVA
SAPI CHI DASSA E NON SAPI CHI TROVA.
Chi lascia la vecchia strada per la nuova, sa quello che lascia e non quello che trova.
Ci vuole cautela nel decidere i cambiamenti, nell'imboccare nuove strade.
80. CUCCI CUMANDA A CANI E CANI CUMANDA A CUCCI.
Il cucciolo comanda al cane ed il cane al cucciolo.
Fare a scaricabarile.
81. CUCCU MEU DI SITA,
QUANT'ANNI ‘NCI VONNU MU MI FAZZU ZITA?
Cuculo mio di seta, quando sarò sposa?
La zita è la sposa. Nelle notti estive di luna, la ragazza, trepida, chiede al cucùlo, lusingandolo, quanto tempo manca alle sue nozze.
82. CUCCU ME’ D’ORU,
QUANT'ANNI ‘NCI VONNU PE’ MMU MI ‘NCI MORU?
Cuculo mio d'oro, tra quanti anni morirò?
Altra domanda rivolta al cucùlo. Si contano i suoi "chiù" che corrispondono agli anni di vita che restano.
83. CU’ FACI ZAPPI FACI PURU ZAPPUNI.
Chi fa le zappe, fa anche gli zapponi.
Chi è infedele nel poco, lo è anche nel molto.
84. CU’ GATTU NASCI, SURICI PIGGHIA.
Chi nasce gatto, prende topi.
85. CU’ MANGIA CU TANTI VUCCHI , S’AFFUCA.
Chi mangia con troppe bocche, si ingozza.
"Chi troppo vuole niente ha".
86. CUMPARI, LA DOMINICA T'IMBITU
PORTA LU PANI CA LU MEU E' MUCATU*
PORTA LU VINU CA LU MEU ESTI ACITU
PORTA LA CARNI CH’EU MENTU LU SPITU.
CUMPARI, LA DOMINICA T'IMBITU.
Compare ti invito per domenica. Porta il pane perchè il mio è ammuffito, porta il vino chè il mio è aceto, porta la carne, io fornirò lo spiedo. Compare, sei invitato domenica.
* mucare “muffarsi”, mucu “muffa”< lat. mucus “moccio” F.
87. CU’ MPILA E SPILA NON PERDI MAI TEMPU.
Chi cuce e scuce non perde mai tempo, ma non conclude.
Si dice di chi si illude di far qualcosa, ma non viene mai a capo di nulla.
88. CU’ ‘ND’AVI DU DUCI, ‘ND’AVI AD AVIRI PURU D’AMARU.
Chi ha la sua parte di dolce, ha anche la sua parte d'amaro.
Gli onori sono oneri. I beni e le gioie della vita non vanno disgiunte dagli affanni. Non c'è rosa senza spine.
89. CU’ NON BOLI U PAGA ‘O MASTRU
PAGA MASTRU E MASTRICCHIU.
Chi non vuole pagare il maestro, finisce per pagare maestro e apprendista.
Fidati dell'esperto, non credere di fare economia con artigiani improvvisati, o con apprendisti.
90. CU NON CRIDI, U ‘NCAPPA.
A chi non mi crede, gli capiti (lo stesso malagurato evento).
91. CU’ PAGA AVANTI MANGIA PISCI FETENTI.
Chi paga in anticipo, mangia pesce che puzza.
Non fidarsi, non dare anticipi sui pagamenti, pena mangiare "pisci fetenti".
92. CU PATRI E CU PATRUNI
SEMPI TORTU E MAI RAGIUNI.
Col padre e con il padrone avrai sempre torto e mai ragione.
Amara riflessione del figlio e del servo. Ma il "padre padrone" ed il superiore spietato, pare, per fortuna, che sia una razza in via di estinzione.
93. CU PECURA SI FACI ‘U LUPU S’ ‘A MANGIA.
Chi diventa pecora è preda del lupo.
Chi non sa difendersi, finisce vittima del più forte.
94. CU PORCU MANGIA, PRESTU ‘INGRASSA.
Ingrassa presto chi mangia come un maiale (porcu ha qui questo significato).
Ingrassa presto chi non va tanto per il sottile, chi non si fa scrupoli, chi arraffa.
In senso traslato, allude anche a chi s'arricchisce illecitamente.
95. CU S'ANNAMURA ‘I CAPILLI E DENTI,
S'ANNAMURA ‘ I POCU E DI NENTI.
Chi si innamora di capelli e di denti, si innamora di poco, anzi di niente.
"Ombra di un fiore è la bellezza", ma i denti e i capelli sono quelli che, trascorsa la prima giovinezza, perdono per i primi il loro fulgore.
96. CU SI CURCA CU FIGGHIOLI SI LEVA LORDU.
Chi va a letto con bambini, si alza sporco.
Chi si fida dei bambini o degli insensati è uno stolto.
97. CU SI LAVA CU D’ACQUA ‘E MAIJLLA*
RESTA BELLA STA SIMANA E CHILLA.
Chi si lava il viso con acqua di madia resta bella per due settimane.
L'acqua di crusca, che si otteneva mettendone un pugno in un sacchetto a bagno, era adoperata un tempo per le cure di bellezza. Più efficace ancora doveva apparire l'acqua con cui si era risciacquata la madia dopo impastato il pane.
Le nostre donne di un tempo non mancavano di rinfrescarsi ogni volta che panificavano, sicure di restare belle fino alla volta prossima.
* ‘madia’; da un ricostruito magilla, derivato dal greco-latino magis D.
98. CU SI MARITA È’ CONTENTU NU JORNU
CU AMMAZZA ‘U PORCU È CONTENTU PE’ N’ ANNU.
Chi si sposa è contento un giorno, chi uccide il maiale è felice per un anno.
Per la cronica fame delle nostre campagne, chi uccide il maiale, e ha provviste per un anno, sta meglio di chi si sposa che fa baldoria solo per un giorno e poi è ripreso dalle necessità quotidiane.
99. CU TI VOLI BENI CCHIÙ’ DI MAMMA
O TI TRADI* O T' INGANNA.
Chi pretende di volerti bene più di tua madre, ti inganna o ti tradisce.
Non c'è amore più grande di quello materno: chi pretende di farti credere il contrario è un traditore.
* trádere ‘tradire’ D. Si noti un tratto conservativo del dialetto: l’accentazione è quella di latino tradere ( propriamente ‘consegnare al nemico’).
100. CU TI VOLI BENI TI FACI CIÀNGIARI
CU TI VOLI MALI TI FACI RÌDARI.
Chi ti vuole bene ti fa piangere, chi ti vuole male ti fa ridere.
Il richiamo, la correzione, il rimprovero provengono da chi ti ama; la lusinga, le blandizie, spesso da chi vuole il tuo male.
101. CU VAJ A ‘A FERA SENZA TARÌ
VAJ CU ‘NU DISIDERIU E TORNA CU TRI.
Colui che va alla fiera senza soldi va con un desiderio e torna con tre.
Inutile andare alla fiera senza soldi: si rischia di tornare a casa non solo senza aver comprato il necessario, ma con tanti desideri insoddisfatti.
102. CU VAJ ALL'ACQUA NON TENI A FIGGHIOLA.
Chi va ad attingere l'acqua, non può tenere in braccio la bambina.
Non si possono fare due cose contemporaneamente.
103. CU VAJ A MARI ‘STI PISCI PIGGHIA.
Chi va per mare prende questi pesci.
Chi si espone ad un pericolo, subisce le conseguenze.
104. CU VOLI ANDA*, CU NON BOLI MANDA.
Chi vuole va, chi non vuole manda.
Chi vuole ottenere qualcosa, s'interessa personalmente, chi delega altri, non ottiene.
* Corrisponde all’uso anda “va” dell’italiano antico (sec. XIII).
D
105. DA’ CANDILORA U ‘MBERNU È FORA.
Alla Candelora ( febbraio) l'inverno è finito.
Per la festa della Candelora, nel nostro Meridione, può considerarsi finito l'inverno.
106. “ DAMMI ORGIU CA TI PORGIU
DAMMI MIGGHIU CA TI FIGGHIU” DISSI A GALLINA.
"Dammi orzo e io ti porgo (l'uovo), dammi miglio e ti figlio (faccio l'uovo)", disse la gallina.
Do ut des.
107. DAMMI TEMPU CA TI CUVU*
’NCI DISSI ‘U SURICI D’ ‘A NUCI.
Dammi tempo e ti svuoterò – disse il topo alla noce.
Gutta cavat lapidem.
* cuvare “scavare” è deverbale da cúfalu, cúfolo “vuoto”, che viene confrontato con greco volgare koúphalos‘cavo’ ‘vuoto’D.
108. DDEU, E NON PEJU.
Signore, non peggio di così.
È un grido di rassegnazione, ma anche d'invocazione: "Non peggio di
così!"
109. DI’ CAMATRI** DIU ’NC'È PATRI.
Dio è padre agli sfaticati.
La Provvidenza aiuta gli sfaticati.
** Poltrone, ozioso, sfaticato < gr. tardo kamaterós ‘penoso’ D (diversamente in LG).Per un approfondimento di questa voce, che in alcune varianti vale altresì ‘attivo’, vedi F. Fanciullo, Grecismi vecchi e nuovi:alcune etimologie italiane dialettali ‘L’Italia Dialettale’, 43, 1980, pp. 75-100, specie pp. 89 ss.
110. DINARI E SANTITÀ’ METÀ’ DI LA METÀ’.
Soldi e santità, calcolare metà della metà (di quanto si dice).
Non credere a chi blatera di molte ricchezze o di grandi santità.
111. D’ I SANTI ‘A NIVI E’ CANTI
D’ I MORTI ‘A NIVI E’ PORTI.
Ai Santi la neve è accanto, ai Morti la neve alle porte.
Con le feste dei Santi e dei Morti, arriva l'inverno.
112. D’I VALENTI NON C'È’ NENTI.
Ai valenti, (Dio) non è niente.
Cioè, bisogna che si aiutino da sè.Cfr. il no 109.
113. D’I VOTI ‘ND’AVI U SI SCINDI ‘U SCALUNI.
A volte bisogna scendere uno scalino.
Si dice particolarmente di quando si deve rinunciare al proprio rango. Bianca Trao, nel "Mastro Don Gesualdo", è costretta dalle circostanze a sposare Gesualdo Motta; nei tempi andati erano molto sentite, nel nostro Meridione, le distanze tra le varie categorie sociali.
114. DOPPU CHI CHIOVI ‘NA BELL' ACQUA.
Dopo la pioggia, l'acqua.
Arrivare quando si è già provveduto.
115. D’ ‘U CARU ACCATTA POCU MA D’ ‘U MERCATU PENZA.
Di ciò che costa caro compra qualcosa, di ciò che è a basso prezzo pensaci prima.
Compra ciò che costa caro, anche se con parsimonia, e diffida di ciò che costa poco.
116. DUNDI VEGNU ? VEGNU D’’U MULINU.
"Da dove vengo? Vengo dal mulino".
Si usa a proposito di chi torna a casa infuriato e si sfoga sui malcapitati parenti.
Non si capisce però perchè chi torni dal mulino si senta in diritto di bastonare la moglie o chicchessia.
117. DURU CU DURU NON FRABBICA MURU.
Duro con duro, non cementa il muro.
Bisogna che una delle due parti ceda perchè si possa trovare l'accordo e l'unione.
E
118. È ARTA ‘A MANGIATURA.
È alta la mangiatoia.
È difficile raggiungere una posizione elevata e finanziariamente tranquilla, e anche restarci a lungo.
119. ED URA CHI MANGIAI E CHI BIPPI BONA,
MI LA VOGGHIU JETTARI ‘NA CANZUNA.
E ora che ho mangiato e bevuto bene, me la voglio cantare (letter. gettare) una canzone.
120. È ‘NUTILI CA FAI LU MUSSU A FUNGIA
CA PRIMA SI FATICA E P0’ SI MANGIA.
È inutile che allunghi il muso: prima si lavora e poi si mangia.
"Chi non lavora non mangia" dice San Paolo (e suona la canzone di Celentano). Inutile perciò immusonirsi.
F
121. FA’ BENI E SCORDATI, FA’ MALI E GUARDATI.
Fai del bene e dimentica, fai del male e stai attento.
Fai del bene e dimentica. Ma se hai fatto del male, devi essere guardingo.
122. FACIMMA ‘A CAMMISA D’’U SURICI.
Abbiamo fatto la camicia del topo.
Si dice di un lavoro condotto male, molto ingarbugliato, inestricabile:
ad esempio di maglia, telaio, uncinetto, cucito, ecc.
123. FA’ COMU T’ È FATTU CA PECCATU NON È.
Fà come ti vien fatto, non è peccato.
La legge del taglione.
124. FARI DU’ PARTI ‘N CUMMEDDIA.
Fare due parti nella stessa commedia.
Si dice della persona infida, sleale, doppia.
125. FARI ‘U “DICUMU E DISSI”, oppure
FARI ‘U “LEVA E PORTA”.
Si dice di chi va pettegolando e mettendo zizzania.
126. FARI ‘U GATTU ‘NT’’E CUCUZZARI.
Fare il gatto fra le piante di zucca.
Fare il sornione, come il gatto che si nasconde, prima di aggredire la preda, sotto le ampie foglie della zucca. Fare lo gnorri.
127. FARI ‘U ZINGARU ‘MBRIACU.
Fare lo zingaro ubriaco.
Fare lo gnorri.
128. FATI LARGU, CA PASSA LA ZITA, LA MUGGHIERI DI COCCIU D'ORGIU, È VESTUTA DI CALAMU* E SITA: FATI LARGU CA PASSA LA ZITA.
Fate largo che passa la sposa, ch'è la moglie di grano di miglio, è vestita di bisso e di seta: fate largo che passa la sposa.
Si dice di persona che passi, inceda altera e boriosa vestita di tutto punto, e che attenda l'omaggio di tutti.
D'altronde si tratta solamente della moglie di grano di orzo, o di miglio...
*La bambagia che avvolge il bozzolo del baco da seta < gr. kálamos ‘canna’ D.
129. FIGGHIOLA, SEDI, SEDI, CA LA TO’ FURTUNA VENI.
Ragazza, non affannarti, la tua fortuna verrà.
"Ragazza siedi e lavora, non ti affannare per il tuo avvenire, la fortuna non ti mancherà".
130. FIGGHIOLI FIMMANI E VINU
CACCIATILLI C’’U PROMENTINU*.
Figlie femmine e vino buttali fuori al più presto.
Il vino tenuto a lungo rischia di andare in aceto.
Le ragazze sfioriscono e diventano bisbetiche: l'uno e le altre, consiglia il proverbio, "cacciatilli" alla prima occasione.
* Primaticcio < lat. primitivus F.
131. “ FOCU ME’ ‘ RANDI”, DISSARU LI GRILLI
QUANDU MISARU FOCU ALLA RASTUCCIA.
"Sciagura nostra grande" dissero i grilli quando videro che venivano bruciate le stoppie.
132. FORA ‘E MIA, A CU' PIGGHIA PIGGHIA.
Il malanno a chiunque, all'infuori che a me.
"Dopo di me il diluvio".
133. FORA GABBU E FORA MARAVIGGHIA.
Non farsi beffe e non meravigliarsi.
Non bisogna farsi beffe, nè criticare chicchessia: il male potrebbe ricadere su di noi, come ci ricorda un proverbio che è analogo a questo:
134. FORA ‘I CCÀ E DI NUI.
Si dice di una calamità, di una sventura, di un male terribile.
135. FRABBICA E LITI, PROVATI E VIDITI.
Costruzioni e liti, provate e vedrete.
Difficoltà, spese, imprevisti, per chi vuole costruire una casa o impiantare una causa in tribunale. Provare per credere.
136. FREVARU AFFREVA ‘A TERRA.
Febbraio mette la febbre alla terra.
Febbraio è quasi primavera, riscalda la terra e fa germogliare ogni seme, ogni albero, ogni pianticella.
137. FREVARU, CURTU ED AMARU.
Febbraio, breve e misero.
Corrisponde all'italiano "Febbraio, febbraietto...” Ma Febbraio risponde:
138. “FREVI MU ‘ND’AVI CU FREVI MI MISI
CH’E’ SUGNU ‘U XURI DI TUTTI LI MISI.
"Abbia febbre chi mi ha chiamato Febbraio chè io sono il fiore di tutti i mesi.”
(o anche: AMARU È CU ‘U DICI, CH’E’ SUGNU ‘U MEGGHIU D' AMICI.
Tristo è colui che lo dice perchè io sono il migliore fra gli amici).
G
139. GNARSÌ, GNARNÒ, SECUNDU ACCURRI.
Sissignori, nossignori, secondo l'occorrenza.
Si dice dei voltagabbana, di persone senza solidi principi, degli ipocriti.
140. GUARDATI D’ ‘I’ SIGNATI ‘I DDIU.
Guardati dai segnati da Dio.
Si crede che i "segnati" cioè zoppi, gobbi, ciechi, ecc. siano anche persone malfide.
I
141. JAMU COMU CICIARI ‘O CRIVU.
Roteare come ceci nel crivello.
I ceci, quando vengono abburattati nel crivello, girano intorno senza posa nel movimento rotatorio.
Così sbattute si sentono a volte le persone, quando sono costrette a darsi molto da fare.
142. JAMU COMU LAZZU* ‘I CAPPELLU.
Girare come il nastro del cappello.
Il nastro del cappello gira intorno alla calotta... all'infinito. Lo stesso significato del precedente, meno pittoresco.
*Laccio.
143. IANARU, SCORCIA ‘A VECCHIA ‘O FOCULARU.
Gennaio, scortica la vecchia il focolaio.
Non si capisce se sia il focolare a essere scorticato dalla vecchia freddolosa a furia di rimestare il fuoco, o sia questo ad arrostire e quindi a "scorciare" (spellare) la vecchia.
144. IANARU SICCU, MASSARU RICCU.
Gennaio secco, massaio ricco.
Va bene per il massaio se a Gennaio non piove.
145. IANARU, PUTA PARU**.
A Gennaio, pota tutti gli alberi.
A Gennaio, nel caldo meridione, bisogna già potare tutte le piante.
**Pari pari.
146. I BELLI E LLI BRUTTI ‘A TERRA S’ AGGHIUTTI.
Belli e brutti inghiotte la terra.
"Vanità delle vanità, tutte le cose sono vanità".
147. ‘I CHILLU CHI BIDI, POCU CRIDI,
‘I CHILLU CHI SENTI NON CRIDIRI NENTI.
Di quello che vedi, credi poco, e di quello che senti, niente.
Fidati poco degli occhi tuoi stessi, e niente addirittura delle ciarle e maldicenze che senti.
148. ‘I COSI LONGHI DIVENTANU SERPI.
Le cose che vanno per il lungo diventano serpi.
Bisogna affrontare e risolvere le cose; le lungaggini non portano a nulla di buono: diventano come serpenti, strisciano, si aggrovigliano.
149. I FIGGHIOLI SI CRISCINU C’ ‘U PANI ‘NT’’E MANI E I BOTTI ‘NT’’O CULU.
I figli si crescono con il pane in mano e le sculacciate.
Non lesinare ai tuoi figli il pane, ma neanche la punizione. Corrisponde al pugliese:
"Mazze e panelle fanno i figli belli”.
150. I GUAI D’’U PIGNATU ‘I SAPI SULU ‘A CUCCHIARA.
I guai della pignatta li conosce soltanto il mestolo.
Non è dato di conoscere le piaghe nascoste di una persona, di una famiglia, di una casa se non a chi vi è addentro.
151. JIDITA LONGHI ‘E MANU GENTILI
FACCI DI DAMA CHI MI FA MORIRI.
Lunghe dita di mano gentile, faccia di dama che mi fa morire.
Elogio della propria bella, dalle dita affusolate e dal viso soave.
152. I JESTIMI SU’ ‘I CANIGGHIA* CU ‘ I MANDA S’ ‘I PIGGHIA.
Le imprecazioni sono come la crusca, ricadono su chi le manda.
La crusca, buttata in aria, ricade addosso; così è delle imprecazioni e delle bestemmie.
*crusca, da un ricostruito canilia D.
153. JIRI ARCELLIJANDU.
Andare uccellando.
L'uccellare è spasso da signori, perditempo, insidia, beffa. Si guardi bene dunque, la persona seria e posata, dal farlo.
154. JIRI CH’ ‘I MANI ‘NDOLI ‘NDOLI.
Andare con le braccia ciondoloni.
Andare in giro con le mani in tasca, senz'armi per difendersi, oppure, se si va in visita, senza doni.
155. JIRI VIDENDU QUALI FURNU FUMA.
Andare cercando quale forno fumiga.
Non farsi i fatti propri.
Oziare, cicalare, fiutare il vento.
156. ‘I ‘NU PILU SI FACI ‘NU PALU.
Da un pelo si fa un palo.
Quando si esagera.
157. I PEIU GUAI SU’ CHILLI SENZA PANI.
I guai peggiori sono quelli senza pane.
"I guai cu’ pani" sono sempre meno duri di quelli accompagnati dalla miseria.
158. ‘I PENI D’ ‘A SCHIETTA
SUNNU I GODIMENTI D’ ‘A MARITATA.
Le pene della ragazza sono le gioie della donna sposata.
Questo proverbio ha un doppio significato.
Le pene della ragazza per la donna sposata che ha pesi e responsabilità, sono cose lievi che costituirebbero una gioia.Viceversa, la zitella si rode pensando che la "maritata" abbia felicità e soddisfazioni che a lei mancano.
159. I PERDUTI DDEU LI VOLI ARRICCHISCIUTI.
Gli "ultimi" Dio li vuole far prosperare.
Quando ci sente perduti di più, allora "là c'è la Provvidenza".
160. I PRIMI PARENTI SUNNU I DENTI .
I primi parenti sono i propri denti.
Bada prima al tuo pane e poi a quello degli altri.
161. I SAPUTI, ‘I VOLI PERDUTI.
I saccenti (Dio) li vuole perduti.
Guai ai saccentoni con la loro vana boria.
162. ‘I SETTI S’ASSETTA.
A sette si fa sedere (il bambino).
Non mettere a sedere i bambini prima dei sette mesi.
Norma igienica perchè non si danneggi l'ancora debole schiena.
163. I SORDI DI LL’ATRI SI MISURANU C’ ‘A MENZALORA.
I soldi degli altri si misurano con la "mezzalora".
Si esagera sempre quando si parla delle altrui ricchezze. La "menzalora" è una delle antiche misure calabresi: tumanu, menzalora, quartu, stuppellu, stuppelluzzu.
164. I SUMERI SI SCERRIJANU
E I BARRILI VANNU P’ ‘O MENZU.
I somari si azzuffano ed i barili ne soffrono le conseguenze.
Nei paesi dove scarseggia, l'acqua si portava una volta con gli asini, nei barili. Se i somari si azzuffano, è facile immaginare cosa succede ai barili.
proverbi calabresi
RispondiElimina