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proverbi calabresi

A CASA ‘E GALANTOMANI, BUSSA CH’ I  PEDI.

A casa di signori, bussa coi piedi.

Amaro riferimento del povero all'avidità dei potenti, i "galantuomini" appunto, cui bisogna rivolgersi con le mani cariche di doni (e pertanto bussare alla porta con i piedi).


2.        A CASA ‘E ’MPISU NON ‘MPENDIRI  LUMERA.

A casa d'impiccato non appendere neanche la lucerna.

Non parlar di corda in casa d'impiccato.


3.        A CASA ‘E RICCU NON SI GUARDA FOCULARU.

A casa di ricco non si guarda il focolare.

Quando vai da chi ha la dispensa e la cantina ben fornite, non temere: si mangerà sempre bene, anche se la cucina ("focularu") è spenta.


4.        A CASA ‘I FORGIARU,  SPITU  ‘I  LIGNU.

In casa di fabbro, spiedo di legno.

Il colmo dei colmi: il fabbro usa lo spiedo di legno e non quello di ferro.


5.       ‘ A CCHIU BRUTTA È  ‘A  CUDA  ‘U  SI  SCORCIA.

La più brutta da scorticare è la coda.

La parte conclusiva di ogni impresa è la più difficile: in cauda venenum.


6.        ACQUAZZlNA  NON  PARINCHI  PUZZU.

La rugiada non riempie il pozzo.

Con le briciole, con le minuzie, col soldino dato e ricevuto, non ci si arricchisce.


7.        AD ACINA AD ACINA SI  PARINCHI  LA  MACINA.

Ad acino ad acino si riempie la macina.

Esattamente il contrario di quello precedente.


8.   A  CU  NON  AVI  FIGGHI
NON CERCARI  NÉ  FOCU  NÈ  CUNSIGGHI.

A chi non ha figli non chiedere né fuoco né consigli.

La maternità rende la donna matura e comprensiva. Se hai bisogno di un piccolo favore o di un consiglio, va' da una mamma.


9.   ‘A DONNA ‘E BBONA RRAZZA
‘I CINQUANTANNI   PORTA  ‘M BRAZZA.

La donna di buona razza a cinquant'anni porta in braccio.

Buon sangue non mente. A cinquant'anni, la donna "'e bbona rrazza" ha ancora un lattante.


10.  ‘ A  FACCIA  CHI  NON  CUMPARI
CENTU DUCATI  ‘I  CCHIÙ  VALI.

La faccia che non si mostra vale cento ducati di più.

La fanciulla riservata è apprezzata molto più di un'altra.


11.  ‘ A FIGGHIOLA   FIMMANA  ‘NT’A  FASCIA
 E ‘A DOTA ‘NT’ A  CASCIA.

La figlia femmina è ancora in fasce, e la sua dote deve essere già pronta nella cassa.

Le madri contadine di una volta avevano l'incubo della "dote": lenzuola, coperte, asciugamani ecc., tutti filati e tessuti a mano, fra stenti e privazioni; ci voleva una vita per fare un corredo. Perciò bisognava cominciare per tempo, prima forse che la "figghia fimmana" nascesse. Questa era considerata un mezzo guaio, una "cambiale".


12.   A FILA TIRATA  TESSI  PURU  ‘A  CRAPA.

Se le fila del telaio sono preparate, può tessere anche la capra.

Quando tutto è organizzato, previsto, avviato, chiunque può portare a termine un lavoro. Nel caso specifico, quando sul rustico telaio l'ordito è steso, la trama, la navetta e il resto sono in ordine, anche una... capra può tessere.


13.   ‘A GALLINA FACI  L'OVU  E  ‘U GALLU  CARCARÌA.

La gallina fa l'uovo e il gallo fa coccodé.

Simile al n° 31. "Carcariare" è il verso proprio della gallina che ha deposto l'uovo.


14.   ‘A GALLINA  ORBA* ‘I  NOTTI  PASCI.

La gallina cieca mangia di notte.

Il significato è piuttosto oscuro. Forse è un'allusione a chi, pur menomato, riesce, per vie sotterranee, ad arrangiarsi.

*Continua il lat(ino) orbus, come nel toscano popolare.


15.   ‘A  GATTA  PRESCILORA  FACI  I  GATTUZZI  ORBI.

La gatta frettolosa fa i gattini ciechi.

Presto e bene mai avviene.


16.                  AGGHIUTTIRI  GROMULA.*

Inghiottire rospi, letteralmente amarezza, dispiaceri.

Si dice quando si è amareggiati, costretti a incassare guai e angosce magari tacendo.

*(a)gromalaru è propr(iamente) il ‘melo selvatico’agriómēlon LG
.


17.   A GIUGNU  STAJU  COMU  SUGNU
A  GIUGNETTU  NON  CACCIU  E  NON  METTU.

A giugno resto come mi trovo, e a luglio non tolgo o metto niente.

In pratica, il "saio" del povero, del contadino non cambia col cambiare delle stagioni. Prudenza, o non piuttosto miseria? Intanto:


18.   AGUSTU E RIGUSTU È GIÀ CAPU D'IMBERNU.

 Agosto è inizio d'inverno.

...e allora non è più il caso neanche di pensarci.


19.   AMA CORI GENTILI E PERDI L’ ANNI
MA CU' VILLANI NON FARI DISIGNI.

Ama chi ha animo gentile e perdi la tua vita, ma non avere a che fare con gente villana.

Perdi pure i tuoi anni migliori ad amare una persona di buoni sentimenti, ma non fidarti di chi è rozzo e villano.


20.   ‘A  MADONNA  U  T’AXURA.

 La Madonna t’infiori.

Frase augurale rivolta per lo più a un benefattore, specie se ragazzo o ragazza. In Puglia il corrispondente è "Pozza fiurì".


21.   A  MAJU  NON  CANGIARI  SAJU.

A maggio non cambiare la tua "mise".

Non fidarti dei primi caldi.


22.   AMA L'AMICU  CU  LU  VIZIU  SOI.

Ama l'amico col suo difetto, così com'è.

Se vuoi veramente bene, accetta, dell'altro, anche i difetti.
   

23.   ‘A  MALA  NOVA  ‘A  PORTA  ‘U  VENTU.

 La "mala nuova" la porta il vento.

Le cattive notizie arrivano subito, quasi misteriosamente, sul filo del vento.


24.   AMARU  CU  È  NUDU,  MA CCHIÙ  AMARU  CU  È   SULU.

Misero chi è nudo, ma di più chi è solo.

La solitudine è la più triste delle povertà.


25.   AMARU CU ‘NDAVI BISOGNU.

Misero colui che ha bisogno.

Misero chi ha bisogno di chiedere, chi deve attendere qualcosa da altri.


26.   AMARU CU  NON  SI  RASPA CH’ I  MANI  SOI.

Misero chi non può grattarsi con le proprie mani.

Somiglia un pò al precedente, ma con qualche sfumatura: chi non fa da sé, non sarà mai soddisfatto.


27.   AMARU U  PICCIULU CHI  VAJ  ‘NT’ O  ‘RANDI.

Povero il piccolo che viene divorato dal grande.

Il pesciolino piccolo viene sempre divorato da quello più grande. Il "randi" è l'incubo dei piccoli, degli ultimi, degli indifesi.


28.   AMICI,  MA  FORA  ‘A  ‘NTERESSI.

Amici, ma interessi a parte.


29.   ANIMA  SI’   E  ANIMA  CRIDI.

Sei un’anima, e devi credere che anche gli altri ce l’abbiano.

Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te.


30.   A  PASCA  E  NATALI  SPARMANU*  I  VILLANI,
 D’ I  PARMI  E  D’I  XJURI  SPARMANU  I  SIGNURI.

A Pasqua e Natale fanno sfoggio nel vestire i villani, alle Palme e a Pentecoste i signori.

I signori non attendono le grandi festività per sfoggiare i vestiti nuovi.

*sparmare ‘pompeggiarsi, vestirsi magnificamente’D; si può confrontare con il laziale  sparmeggià ‘ricoprirsi di frutti’ detto dell’olivo,per cui vedi DIt.


31.   ‘A  PECURA (o anche: ‘A  CRAPA) SI  MUNGI
E ‘U  ZIMMARU*  SI  DOLI.

Viene munta la pecora e si lamenta il caprone.

Si dice di quando si lamenta altri di chi dovrebbe.

*. Lo "zimmaro" è il maschio della pecora o della capra, che, in questo caso, è sfruttata Da greco tardochímaros ‘becco giovane’ D; LG.


32.  ‘ A  PORCELLA  MAGRA  LLA  GHIANDA  SI ‘NSONNA

La scrofa magra sogna le ghiande.

Si sogna, si pensa, si almanacca su ciò che si desidera: nel caso specifico, il maiale affamato "sogna" le ghiande.


33.   A  QUANDU  A  QUANDU  MI  MISI  MU  ‘STRAIU*
 VI’  CA  MI  VINNI  MOLLU  LU  CILIJU**.

Una volta tanto che ho voluto insaldare il filato per la tessitura, vedi un po’, ho fatto molle l'impasto.

Una volta tanto ho tentato una piccola impresa, e pure m'è andata male.

*strájiri ‘ammatassare,annaspare’< lat.extrahere D.
**ciliju ‘bozzima’< gr(eco) chylízō ‘inamidare’LG.


34.   ARANGI ARANGI  CU ‘NDAVI  GUAI  MU  SI  CIANGI.

 Arance, arance, che ognuno pianga i propri guai.

Si dice in senso dispregiativo, quando ci si chiude nel proprio egoismo e sui guai degli altri si vogliono chiudere gli occhi e il cuore.


35.   ARBURU  CHI  NON  FACI  FRUTTU  TAGGHIALU  D’ U  PEDI.

 L'albero che non porta frutto, taglialo dalle radici.

Non aver pietà per l'albero che non porta frutto.


36.   ARRASSU* ‘I  CCÀ  E  DI  TUTTI.

Lontano sia da noi e da tutti.

Frase d'obbligo e di scongiuro, quando si parla di un qualsiasi male terrorizzante.

* lontano (etimo ignoto).


37.   ARRITAGGHIA,  ARRITAGGHIARI
‘I  ‘NA  VESTA  FICI  ‘NU  FARDALI*.

Taglia e ritaglia, da un vestito è venuto fuori un grembiule.

Lo stesso significato ha il detto che segue:

* ‘grembiule’; da ‘falda’ DEIDIt sotto voce fàuda.


38.   ARRITUNDA, ARRITUNDARI
‘I  ‘NA  PORTA  FICI  ‘NU  MANDALI.

Arrotando e piallando, da una porta ha fatto un nottolino.

Il falegname pignolo e maldestro, a furia di piallare e rifinire, da una
porta ricavò il nottolino ("mandali").


39.   ‘A  RROBBA  BBONA  FINU  ‘A  PEZZA
‘U  BONU  VINU FINU  ‘A  FEZZA.

La stoffa buona è tale anche quando è un cencio, e il vino, se buono, lo è fino alla feccia.

Le case — e le persone — se hanno buone qualità le conservano sino agli estremi.


40.  ‘ A  RROBBA  D’AVARU  VAJ  ‘MMANU  ‘O  SCIAMPAGNUNI.

La roba dell'avaro viene sperperata dal prodigo.

Di quello che l'avaro accumula, ne fa poi scialo il prodigo.


41.   ‘A  RROBBA  SI ’NDI  VAJ  C’ ‘U  PATRUNI.

La roba va via con la morte del padrone.

Finito il padrone, ogni cosa va in rovina.


42.   A RROVINA NON CI VOLI  SPARAGNU.

 Nella sciagura non si può fare economia.

Quando una sciagura si abbatte su di un povero diavolo, bisogna che
trovi comunque i soldi per fronteggiarla.


43.   A TAVULA  E  TAVULERI
SI  CANUSCI  LA  DAMA  E  ‘U  CAVALERI.

A tavola e al tavolino da gioco si riconosce la dama e il cavaliere.

Saprai se hai a che fare con una gentile dama e con un perfetto cavaliere, osservando come questi si comportano a mensa e al tavolo da gioco.


44.   A TIA  LLÀ  TI  VOTANU  ‘ I  CRAPI.

Il tuo gregge batte sempre quella strada.

Il pensiero, l'attenzione, l'azione sono polarizzate sempre verso ciò che ci interessa.


45.   ‘AUNDI  NON  T'APPARTENI  NÉ  MALI  E  NÉ  BENI.

Di cosa che non ti appartiene, non dire né male né bene.

Astieniti dal giudicare ciò che non ti riguarda.


46.  ‘ A  VERA  MARITATA  SENZA  SOCERA  NÉ’  COGNATA.

La vera maritata è senza suocera e senza cognata in casa.

Una donna, per essere felicemente sposata, non deve avere in famiglia ingerenze di suocera, o di cognata, o di chicchessia.




B

   47.   BARBA  XURITA  TENI  CARA  LA  ZITA.

Chi ha la barba fiorita di bianco, tiene cara la giovane sposa.

Lo sposo maturo ha molta cura della sua sposina.


48.   BARCA  STORTA  E  VIAGGIU  DRITTU.

Veliero malconcio e buon viaggio.

Non scoraggiarsi mai alle prime difficoltà. Il vento della fortuna cambia.


49.   BASTA  L'OSSU  U  STACI  ‘MPEDI,   C’  ‘A  CARNI  VAJ  E  VENI.

È importante che le ossa stiano insieme; la carne, il grasso va e viene.

Finchè si resta in piedi, e non ci si mette a letto, tutto va ancora bene: essere grassi o magri non importa molto.


50.   BASTA  U  CADI  ’NA  PETRA
E  SI  SDARRUPA  TUTTA  L'ARMACERA*.

Basta che ne cada una sola pietra ed il muro a secco viene tutto giù.

Se il tutto non è compatto, se qualcosa comincia a sgretolarsi, già è la rovina. L'armacera è l'immagine della famiglia, della società, di ciò insomma che s'è messo insieme con amore e fede, e comincia a franare inesorabilmente se solo c'è uno scricchiolio, una lacerazione.

*Da armacìa ‘muro a secco’ < greco hermakía, con influenza di macera, che deriva dal lat. maceria ‘muro di pietre’ DIt.


51.   BELLU  ’MBISTA  E  TRIVULU*  ‘N CASA.

Bello a vedere e tristo in casa propria.

Affabile con gli estranei, villano in famiglia.

* Trúvule con varianti ‘torbido’ da un lat. ricostruito turbulus D.


52.   BENEDICA, BENEDICAMU
CCHIÙ  POCHI  SIMU  MEGGHIU  STAMU.

Benedetti, benediciamo, in meno siamo e meglio stiamo.

Questo detto, come altri simili, è ispirato alla miseria cronica del nostro Meridione (solo negli ultimi decenni la situazione economica è alquanto mutata): una bocca in meno è un sollievo.


53.   BENEDITTA  CHILLA  PASTA
CHI  DI  VENNARI  S’IMPASTA.

Sia benedetta la pasta (ed il pane) che si fa di venerdì.

Una leggenda popolare narra con molta grazia che il panno bianco con cui la Veronica asciugò il volto del Cristo sofferente, fosse il ‘ fantasino’ (grembiule) che aveva addosso nell'impastare il pane. Il Salvatore, per questo gesto gentile e coraggioso, benedisse lei e tutte le paste che si sarebbero impastate di venerdì.


54.   BON CI CRISCI.

Ben vi s'accresca.

"Vi si accresca ogni bene". Saluto augurale che si fa a chi sta maneggiando dei beni per dimostrare che il visitatore non ha invidia nè malocchio, ma si compiace.


55.   BRODU ‘I  LANZOLA,  PINNULI  ‘I  CUCINA,
 E  SCIRUPPU  DI  CANTINA.

Ricetta sicura per rimettersi in salute: brodo dí lenzuola, manicaretti di cucina e vino di cantina.

  
 

C

   56.   CAMPA  SUMERI  CA  MAIU  VENI.

Campa somaro, che maggio giungerà.

Campa cavallo...


57.   CANI CHI ABBAIA ASSAI  MUZZICA  POCU.

Can che abbaia non morde.


58.   CARRIARI  L’ACQUA  C’ ‘U  PANARU.

Trasportare l’acqua nel paniere.

 Significa fatica inutile quanto sciocca impresa.


59.   CASA  FRABBICATA  FOSSA  SPALANCATA.

Costruita la casa, pronta la tomba.

La casa nuova porta male. Il malocchio opera funestamente, secondo radicate credenze.


60.   CASA  PICCIULA  E  FIMMANA  ‘NGEGNOSA.

Casa piccolina, donna geniale.

La donna "ngegnosa" sa sistemare tutto in poco spazio; ha molte risorse anche se mezzi ristretti.


61.   CA’ SCUSA D’ ‘U  FIGGHIOLU
‘A  MAMMA  SI  MANGIA  L'OVU.

Con la scusa del bambino, mangia l'uovo la madre.

Saper trarre profitto, senza parere, da ogni occasione. Sembrare, ma non essere, disinteressati.


62.   CCA TI VOGGHIU, CANI ‘I CURSU,  A ‘STA SAGLIUTA.

Cane da corsa, voglio vedere come affronti questa salita.

 "Qui si parrà la tua nobilitade".


63.   CENTU  L'ALLOCHI,  E  UNU  L'AFFOGHI.

Cento figli li metti a posto e uno solo lo rovini.

Chi ha tanti figli li sistema presto e meglio di chi ne ha uno solo. E’  simile a quello che dice "Undi’nc'è una, ‘nc'è a mala furtuna".


64.   CHILLU  C’ARRIVA  A  ‘NA  URA
 N’ARRIVA  A  CENT'ANNI.

Ciò che arriva in un momento non arriva in cent'anni.

 Si attende a lungo qualcosa che poi arriva improvvisa.


65.   CHILLU CHI SI SCIPPA CH’I DENTI SI ‘NDAVI.

Abbiamo quello che riusciamo a strappare con i nostri denti.

Quello che si riesce a rosicchiare, quello si ha. Se non ti arrangi, sei morto.


66.   CHILLU  È  OMU  ‘I   PANZA.

Quello pensa soltanto alla sua pancia.

Del mangiatore e bevitore, di chi è capace di vendersi per un piatto di lenticchie.


67.   CHILLU  C’ ‘U  PANI  MORÌU,  CHILLU C’ ‘U  FOCU CAMPÀU.

Sopravvisse colui che poteva scaldarsi e non colui che aveva da sfamarsi.

Si muore più di freddo che di fame.


68.                  CHILLU  È  ‘U  VERU  AMICU  CHI  TI  DUNA  MENZU  FICU.

Il vero amico è quello che, possedendo un solo fico, te ne dà la metà.

Neanche un fico intero. Chi divide con te il pochissimo di cui dispone, dà prova di vera amicizia e di affetto.


69.   CHILLU  S'ARROBBA  PURU  ‘A BARRITTELLA  SUA.

Quello è capace di rubare il suo stesso berretto.

Il ladro matricolato, pur di rubare, ruba anche a se stesso.


70.   CCHIÙ  FORTI  È  ‘A  TIMPESTA
  CCHIÙ’  PRESTU  VENI  ‘A  CARMA.

Più violenta è la tempesta, e più presto viene il sereno.

Dopo gli scroscianti temporali, si ha subito il sereno. Bisogna avere fede, dice questo proverbio, anche nelle più gravi avversità.


71.   CCHIÙ  SCURU  D’ ‘A  MENZANOTTI  NON  POT’ESSERI.

Come il napoletano: “Dicette o scarrafone: Po’ chiovere ‘gnostro (=inchiostro) comme vo’ isso,   cchiu niro’ e comme songo nun pozzo addiventà”.


72.  CCHIÙ  ‘U  CAVALLU  È  IESTIMATU  CCHIÙ  SI  LUCI  ‘U  PILU.

 Più imprecazioni ha il cavallo e più bello e prestante diventa.

 Ha buona sorte alle volte chi è più maltrattato.


73.   CIANGI  E  ARRIDI  COMU  ‘A  GATTA  ‘E  SAN  BASILI.

Piangi e ridi come la gatta di San Basilio.

Si dice a chi passa con facilità dal riso al pianto. Cosa c'entra la gatta di San Basilio lo sapevano forse i nostri vecchi.


74.   CIANGITIMI  A  MARITUMA  CA  E’ ‘ND’AIU  M’ABBALLU.

Piangete voi mio marito morto, io devo ballare.

Argutissimo modo di dire di quando qualcuno delega altri a occuparsi delle proprie cose, anche se della massima importanza, per potersi sollazzare.


75.   COMU È ‘U  TEMPU  SI   MENTI  ‘A  VILA.

Come è il tempo, si mette la vela.


76.   CORNUTU  E  VASTONIATU.

Cornuto e bastonato.

Subire il danno e la beffa.


77.      COSI  NOVI,  SIGNURI,  PURU  CA  SU'  VASTUNATI..

Signore, mandateci qualcosa di nuovo, anche legnate!

La vita monotona è stagnante e terribile.
 Si preferisce il nuovo, anche (per esagerazione) se non lieto.


78.      CU’ BELLA  VOLI  PARIRI   PENI  E  GUAI  ‘ND’AVI  A  PATIRI.

Colei che bella vuole apparire, pene e guai deve soffrire.

 Significato chiaro. Proverbio diffuso in molte regioni.


79.   CU’  DASSA  ‘A  VECCHIA  P’’A  NOVA
 SAPI  CHI  DASSA  E  NON  SAPI  CHI  TROVA.

Chi lascia la vecchia strada per la nuova, sa quello che lascia e non quello che trova.

Ci vuole cautela nel decidere i cambiamenti, nell'imboccare nuove strade.


80.      CUCCI  CUMANDA  A  CANI  E CANI  CUMANDA  A  CUCCI.

 Il cucciolo comanda al cane ed il cane al cucciolo.

Fare a scaricabarile.


81.   CUCCU  MEU  DI  SITA,
 QUANT'ANNI  ‘NCI  VONNU  MU  MI  FAZZU  ZITA?

Cuculo mio di seta, quando sarò sposa?

La zita è la sposa. Nelle notti estive di luna, la ragazza, trepida, chiede al cucùlo, lusingandolo, quanto tempo manca alle sue nozze.


82.   CUCCU  ME’  D’ORU, 
QUANT'ANNI  ‘NCI  VONNU   PE’ MMU  MI ‘NCI  MORU?

Cuculo mio d'oro, tra quanti anni morirò?

Altra domanda rivolta al cucùlo. Si contano i suoi "chiù" che corrispondono agli anni di vita che restano.


83.   CU’ FACI  ZAPPI  FACI  PURU  ZAPPUNI.

Chi fa le zappe, fa anche gli zapponi.

Chi è infedele nel poco, lo è anche nel molto.


84.   CU’ GATTU  NASCI,  SURICI  PIGGHIA.

Chi nasce gatto, prende topi.
   

85.   CU’ MANGIA  CU TANTI  VUCCHI , S’AFFUCA.

 Chi mangia con troppe bocche, si ingozza.

"Chi troppo vuole niente ha".


86.   CUMPARI,  LA  DOMINICA T'IMBITU
PORTA  LU  PANI  CA  LU  MEU E' MUCATU*
PORTA  LU  VINU  CA  LU  MEU  ESTI  ACITU
PORTA  LA  CARNI  CH’EU  MENTU  LU  SPITU.
CUMPARI,  LA  DOMINICA T'IMBITU.

Compare ti invito per domenica. Porta il pane perchè il mio è ammuffito, porta il vino chè il mio è aceto, porta la carne, io fornirò lo spiedo. Compare, sei invitato domenica.

 * mucare “muffarsi”, mucu “muffa”< lat. mucus “moccio” F.


87.   CU’  MPILA  E  SPILA  NON  PERDI  MAI  TEMPU.

Chi cuce e scuce non perde mai tempo, ma non conclude.

Si dice di chi si illude di far qualcosa, ma non viene mai a capo di nulla.


88.   CU’  ‘ND’AVI   DU DUCI,  ‘ND’AVI  AD AVIRI  PURU  D’AMARU.

 Chi ha la sua parte di dolce, ha anche la sua parte d'amaro.

Gli onori sono oneri. I beni e le gioie della vita non vanno disgiunte dagli affanni. Non c'è rosa senza spine.


89.    CU’  NON  BOLI  U  PAGA  ‘O  MASTRU
PAGA  MASTRU  E  MASTRICCHIU.

Chi non vuole pagare il maestro, finisce per pagare maestro e apprendista.

Fidati dell'esperto, non credere di fare economia con artigiani improvvisati, o con apprendisti.


90.   CU NON CRIDI,  U ‘NCAPPA.

A chi non mi crede, gli capiti (lo stesso malagurato evento).


91.   CU’  PAGA  AVANTI  MANGIA  PISCI  FETENTI.

 Chi paga in anticipo, mangia pesce che puzza.

Non fidarsi, non dare anticipi sui pagamenti, pena mangiare "pisci fetenti".


92.   CU  PATRI  E  CU  PATRUNI
 SEMPI  TORTU  E  MAI  RAGIUNI.

Col padre e con il padrone avrai sempre torto e mai ragione.

Amara riflessione del figlio e del servo. Ma il "padre padrone" ed il superiore spietato, pare, per fortuna, che sia una razza in via di estinzione.


93.   CU  PECURA  SI  FACI  ‘U  LUPU  S’ ‘A  MANGIA.

 Chi diventa pecora è preda del lupo.

Chi non sa difendersi, finisce vittima del più forte.


94.   CU  PORCU  MANGIA,  PRESTU  ‘INGRASSA.

Ingrassa presto chi mangia come un maiale (porcu ha qui questo significato).

Ingrassa presto chi non va tanto per il sottile, chi non si fa scrupoli, chi arraffa.
In senso traslato, allude anche a chi s'arricchisce illecitamente.


95.   CU  S'ANNAMURA  ‘I  CAPILLI  E  DENTI,
 S'ANNAMURA ‘ I  POCU  E  DI  NENTI.

Chi si innamora di capelli e di denti, si innamora di poco, anzi di niente.

"Ombra di un fiore è la bellezza", ma i denti e i capelli sono quelli che, trascorsa la prima giovinezza, perdono per i primi il loro fulgore.


96.   CU  SI  CURCA  CU  FIGGHIOLI  SI  LEVA  LORDU.

Chi va a letto con bambini, si alza sporco.

Chi si fida dei bambini o degli insensati  è uno stolto.


97.   CU  SI LAVA  CU D’ACQUA  ‘E  MAIJLLA*
RESTA  BELLA  STA  SIMANA  E CHILLA.

Chi si lava il viso con acqua di madia resta bella per due settimane.

L'acqua di crusca, che si otteneva mettendone un pugno in un sacchetto a bagno, era adoperata un tempo per le cure di bellezza. Più efficace ancora doveva apparire l'acqua con cui si era risciacquata la madia dopo impastato il pane.
Le nostre donne di un tempo non mancavano di rinfrescarsi ogni volta che panificavano, sicure di restare belle fino alla volta prossima.

* ‘madia’; da un ricostruito magilla, derivato dal greco-latino magis D.


98.   CU  SI  MARITA  È’  CONTENTU  NU  JORNU
CU  AMMAZZA ‘U  PORCU  È CONTENTU  PE’ N’ ANNU.

Chi si sposa è contento un giorno, chi uccide il maiale è felice per un anno.

Per la cronica fame delle nostre campagne, chi uccide il maiale, e ha provviste per un anno, sta meglio di chi si sposa che fa baldoria solo per un giorno e poi è ripreso dalle necessità quotidiane.


99.   CU  TI  VOLI  BENI  CCHIÙ’  DI  MAMMA
 O  TI  TRADI*  O  T' INGANNA.

Chi pretende di volerti bene più di tua madre, ti inganna o ti tradisce.

Non c'è amore più grande di quello materno: chi pretende di farti credere il contrario è un traditore.

* trádere ‘tradire’ D. Si noti un tratto conservativo del dialetto: l’accentazione è quella di latino tradere ( propriamente ‘consegnare al nemico’).


100.   CU  TI  VOLI  BENI  TI  FACI  CIÀNGIARI 
CU  TI  VOLI  MALI  TI  FACI  RÌDARI.

Chi ti vuole bene ti fa piangere, chi ti vuole male ti fa ridere.

Il richiamo, la correzione, il rimprovero provengono da chi ti ama; la lusinga, le blandizie, spesso da chi vuole il tuo male.


101.   CU  VAJ  A ‘A  FERA  SENZA  TARÌ
VAJ  CU ‘NU  DISIDERIU  E  TORNA  CU  TRI.

Colui che va alla fiera senza soldi va con un desiderio e torna con tre.

Inutile andare alla fiera senza soldi: si rischia di tornare a casa non solo senza aver comprato il necessario, ma con tanti desideri insoddisfatti.


102.   CU  VAJ  ALL'ACQUA  NON  TENI  A  FIGGHIOLA.

 Chi va ad attingere l'acqua, non può tenere in braccio la bambina.

 Non si possono fare due cose contemporaneamente.


103.   CU  VAJ  A  MARI  ‘STI  PISCI  PIGGHIA.

Chi va per mare prende questi pesci.

Chi si espone ad un pericolo, subisce le conseguenze.


104.   CU  VOLI  ANDA*,  CU  NON  BOLI  MANDA.

Chi vuole va, chi non vuole manda.

Chi vuole ottenere qualcosa, s'interessa personalmente, chi delega altri, non ottiene.

* Corrisponde all’uso anda “va” dell’italiano antico (sec. XIII).



 
D

   105.   DA’ CANDILORA  U  ‘MBERNU  È  FORA.

Alla Candelora ( febbraio) l'inverno è finito.

Per la festa della Candelora, nel nostro Meridione, può considerarsi finito l'inverno.


106.  “ DAMMI  ORGIU  CA  TI  PORGIU
 DAMMI  MIGGHIU  CA  TI  FIGGHIU”  DISSI  A  GALLINA.

"Dammi orzo e io ti porgo (l'uovo), dammi miglio e ti figlio (faccio l'uovo)", disse la       gallina.

Do ut des.


107.   DAMMI  TEMPU  CA  TI  CUVU*
’NCI  DISSI  ‘U  SURICI  D’ ‘A  NUCI.

Dammi tempo e ti svuoterò – disse il topo alla noce.

Gutta cavat lapidem.

* cuvare “scavare” è deverbale da cúfalu, cúfolo “vuoto”, che viene confrontato con greco volgare koúphalos‘cavo’ ‘vuoto’D.


108.   DDEU,  E  NON  PEJU.

 Signore, non peggio di così.

È un grido di rassegnazione, ma anche d'invocazione: "Non peggio di
così!"


109.   DI’  CAMATRI**  DIU  ’NC'È  PATRI.

Dio è padre agli sfaticati.

La Provvidenza aiuta gli sfaticati.

** Poltrone, ozioso, sfaticato < gr. tardo kamaterós ‘penoso’ D (diversamente in LG).Per un approfondimento di questa voce, che in alcune varianti vale altresì ‘attivo’, vedi F. Fanciullo,  Grecismi vecchi e nuovi:alcune etimologie italiane dialettali ‘L’Italia Dialettale’, 43, 1980, pp. 75-100,  specie pp. 89 ss.


110.   DINARI  E SANTITÀ’  METÀ’  DI  LA  METÀ’.

Soldi e santità, calcolare metà della metà (di quanto si dice).

Non credere a chi blatera di molte ricchezze o di grandi santità.


111.   D’ I  SANTI  ‘A  NIVI  E’  CANTI
D’ I  MORTI  ‘A NIVI  E’  PORTI.

Ai Santi la neve è accanto, ai Morti la neve alle porte.

 Con le feste dei Santi e dei Morti, arriva l'inverno.


112.   D’I  VALENTI  NON  C'È’  NENTI.

Ai valenti, (Dio) non è niente.

Cioè, bisogna che si aiutino da sè.Cfr. il no 109. 


113.   D’I   VOTI  ‘ND’AVI  U  SI  SCINDI  ‘U  SCALUNI.

 A volte bisogna scendere uno scalino.

Si dice particolarmente di quando si deve rinunciare al proprio rango. Bianca Trao, nel "Mastro Don Gesualdo", è costretta dalle circostanze a sposare Gesualdo Motta; nei tempi andati erano molto sentite, nel nostro Meridione, le distanze tra le varie categorie sociali.


114.   DOPPU  CHI  CHIOVI  ‘NA  BELL' ACQUA.

Dopo la pioggia, l'acqua.

Arrivare quando si è già provveduto.


115.   D’ ‘U CARU  ACCATTA  POCU  MA  D’ ‘U  MERCATU  PENZA.

Di ciò che costa caro compra qualcosa, di ciò che è a basso prezzo pensaci prima.

Compra ciò che costa caro, anche se con parsimonia, e diffida di ciò che costa poco.


116.   DUNDI  VEGNU ?  VEGNU D’’U  MULINU.

"Da dove vengo? Vengo dal mulino".

Si usa a proposito di chi torna a casa infuriato e si sfoga sui malcapitati parenti.
Non si capisce però perchè chi torni dal mulino si senta in diritto di bastonare la moglie o chicchessia.


117.   DURU CU  DURU  NON  FRABBICA  MURU.

 Duro con duro, non cementa il muro.

Bisogna che una delle due parti ceda perchè si possa trovare l'accordo e l'unione.


  
E



118.              È  ARTA  ‘A  MANGIATURA.

È alta la mangiatoia.

È difficile raggiungere una posizione elevata e finanziariamente tranquilla, e anche restarci a lungo.


119.   ED  URA  CHI  MANGIAI  E  CHI  BIPPI  BONA,
MI  LA  VOGGHIU  JETTARI  ‘NA  CANZUNA.

E ora che ho mangiato e bevuto bene, me la voglio cantare (letter. gettare) una canzone.


120.   È  ‘NUTILI  CA  FAI  LU  MUSSU  A  FUNGIA
 CA  PRIMA  SI  FATICA  E  P0’  SI  MANGIA.

È inutile che allunghi il muso: prima si lavora e poi si mangia.

"Chi non lavora non mangia" dice San Paolo (e suona la canzone di Celentano). Inutile perciò immusonirsi.

  
F



121.   FA’  BENI  E  SCORDATI,  FA’  MALI  E  GUARDATI.

 Fai del bene e dimentica, fai del male e stai attento.

 Fai del bene e dimentica. Ma se hai fatto del male, devi essere guardingo.


122.   FACIMMA  ‘A  CAMMISA  D’’U  SURICI.

Abbiamo fatto la camicia del topo.

Si dice di un lavoro condotto male, molto ingarbugliato, inestricabile:
ad esempio di maglia, telaio, uncinetto, cucito, ecc.


123.   FA’  COMU  T’ È  FATTU  CA  PECCATU  NON  È.

 Fà come ti vien fatto, non è peccato.

La legge del taglione.


124.   FARI  DU’  PARTI  ‘N  CUMMEDDIA.

 Fare due parti nella stessa commedia.

 Si dice della persona infida, sleale, doppia.


125.   FARI ‘U  “DICUMU  E  DISSI”,  oppure
FARI  ‘U  “LEVA E PORTA”.

Si dice di chi va pettegolando e mettendo zizzania.


126.   FARI  ‘U  GATTU  ‘NT’’E  CUCUZZARI.

 Fare il gatto fra le piante di zucca.

Fare il sornione, come il gatto che si nasconde, prima di aggredire la preda, sotto le ampie foglie della zucca. Fare lo gnorri.


127.   FARI  ‘U  ZINGARU  ‘MBRIACU.

Fare lo zingaro ubriaco.

Fare lo gnorri.


128.   FATI  LARGU,  CA  PASSA  LA  ZITA, LA MUGGHIERI DI COCCIU D'ORGIU,  È  VESTUTA  DI  CALAMU*  E  SITA:  FATI  LARGU  CA  PASSA  LA ZITA.

Fate largo che passa la sposa, ch'è la moglie di grano di miglio, è vestita di bisso e di seta: fate largo che passa la sposa.

Si dice di persona che passi, inceda altera e boriosa vestita di tutto punto, e che attenda l'omaggio di tutti.
D'altronde si tratta solamente della moglie di grano di orzo, o di miglio...

*La bambagia che avvolge il bozzolo del baco da seta < gr. kálamos ‘canna’ D.


129.   FIGGHIOLA,  SEDI,  SEDI,  CA  LA TO’  FURTUNA  VENI.

Ragazza, non affannarti, la tua fortuna verrà.

"Ragazza siedi e lavora, non ti affannare per il tuo avvenire, la fortuna non ti mancherà".


130.   FIGGHIOLI  FIMMANI  E  VINU
 CACCIATILLI  C’’U  PROMENTINU*.

Figlie femmine e vino buttali fuori al più presto.

Il vino tenuto a lungo rischia di andare in aceto.
Le ragazze sfioriscono e diventano bisbetiche: l'uno e le altre, consiglia il proverbio, "cacciatilli" alla prima occasione.

* Primaticcio < lat. primitivus F.


131.  “ FOCU  ME’ ‘ RANDI”,  DISSARU  LI  GRILLI
QUANDU  MISARU  FOCU  ALLA  RASTUCCIA.

"Sciagura nostra grande" dissero i grilli quando videro che venivano bruciate le stoppie.


132.   FORA ‘E MIA,  A  CU'  PIGGHIA  PIGGHIA.

 Il malanno a chiunque, all'infuori che a me.

 "Dopo di me il diluvio".


133.   FORA  GABBU  E  FORA  MARAVIGGHIA.

 Non farsi beffe e non meravigliarsi.

Non bisogna farsi beffe, nè criticare chicchessia: il male potrebbe ricadere su di noi, come ci ricorda un proverbio che è analogo a questo:


134.   FORA  ‘I  CCÀ  E  DI  NUI.

Si dice di una calamità, di una sventura, di un male terribile.


135.   FRABBICA  E  LITI,  PROVATI  E  VIDITI.

Costruzioni e liti, provate e vedrete.

Difficoltà, spese, imprevisti, per chi vuole costruire una casa o impiantare una causa in tribunale. Provare per credere.


136.   FREVARU  AFFREVA  ‘A  TERRA.

 Febbraio mette la febbre alla terra.

Febbraio è quasi primavera, riscalda la terra e fa germogliare ogni seme, ogni albero, ogni pianticella.


137.   FREVARU,  CURTU  ED  AMARU.

 Febbraio, breve e misero.

Corrisponde all'italiano "Febbraio, febbraietto...” Ma Febbraio risponde:


138.   “FREVI  MU ‘ND’AVI  CU  FREVI  MI  MISI 
CH’E’  SUGNU  ‘U  XURI  DI  TUTTI  LI  MISI.

"Abbia febbre chi mi ha chiamato Febbraio chè io sono il fiore di tutti i mesi.”

(o anche: AMARU  È  CU ‘U  DICI,  CH’E’  SUGNU  ‘U  MEGGHIU  D' AMICI.

Tristo è colui che lo dice perchè io sono il migliore fra gli amici).



G
  

139.   GNARSÌ, GNARNÒ, SECUNDU ACCURRI.

Sissignori, nossignori, secondo l'occorrenza.

Si dice dei voltagabbana, di persone senza solidi principi, degli ipocriti.


140.   GUARDATI D’ ‘I’ SIGNATI ‘I  DDIU.

 Guardati dai segnati da Dio.

Si crede che i "segnati" cioè zoppi, gobbi, ciechi, ecc. siano anche persone malfide.





I


        141.   JAMU  COMU  CICIARI  ‘O  CRIVU.

Roteare come ceci nel crivello.

I ceci, quando vengono abburattati nel crivello, girano intorno senza posa nel movimento rotatorio.
Così sbattute si sentono a volte le persone, quando sono costrette a darsi molto da fare.


142.   JAMU  COMU  LAZZU*  ‘I  CAPPELLU.

Girare come il nastro del cappello.

Il nastro del cappello gira intorno alla calotta... all'infinito. Lo stesso significato del precedente, meno pittoresco.

*Laccio.

143.   IANARU,  SCORCIA  ‘A  VECCHIA  ‘O  FOCULARU.

 Gennaio, scortica la vecchia il focolaio.

Non si capisce se sia il focolare a essere scorticato dalla vecchia freddolosa a furia di rimestare il fuoco, o sia questo ad arrostire e quindi a "scorciare" (spellare) la vecchia.


144.   IANARU  SICCU,  MASSARU  RICCU.

Gennaio secco, massaio ricco.

Va bene per il massaio se a Gennaio non piove.


145.    IANARU,  PUTA  PARU**.

 A Gennaio, pota tutti gli alberi.

A Gennaio, nel caldo meridione, bisogna già potare tutte le piante.

**Pari pari.


146.   I  BELLI  E  LLI  BRUTTI  ‘A  TERRA  S’ AGGHIUTTI.

 Belli e brutti inghiotte la terra.

"Vanità delle vanità, tutte le cose sono vanità".


147.   ‘I  CHILLU  CHI  BIDI,  POCU  CRIDI,
‘I  CHILLU  CHI  SENTI  NON  CRIDIRI  NENTI.

Di quello che vedi, credi poco, e di quello che senti, niente.

Fidati poco degli occhi tuoi stessi, e niente addirittura delle ciarle e maldicenze che senti.


148.  ‘I  COSI  LONGHI  DIVENTANU  SERPI.

 Le cose che vanno per il lungo diventano serpi.

Bisogna affrontare e risolvere le cose; le lungaggini non portano a nulla di buono: diventano come serpenti, strisciano, si aggrovigliano.


149.   I  FIGGHIOLI  SI  CRISCINU  C’ ‘U  PANI  ‘NT’’E MANI  E I BOTTI  ‘NT’’O CULU.

I figli si crescono con il pane in mano e le sculacciate.


Non lesinare ai tuoi figli il pane, ma neanche la punizione. Corrisponde al pugliese:
"Mazze e panelle fanno i figli belli”.


150.   I GUAI D’’U  PIGNATU  ‘I  SAPI  SULU  ‘A  CUCCHIARA.

I guai della pignatta li conosce soltanto il mestolo.

Non è dato di conoscere le piaghe nascoste di una persona, di una famiglia, di una casa se non a chi vi è addentro.


151.  JIDITA  LONGHI  ‘E  MANU  GENTILI
FACCI  DI  DAMA  CHI  MI  FA  MORIRI.

Lunghe dita di mano gentile, faccia di dama che mi fa morire.

Elogio della propria bella, dalle dita affusolate e dal viso soave.


152.   I  JESTIMI  SU’  ‘I  CANIGGHIA*  CU ‘ I  MANDA  S’ ‘I   PIGGHIA.

 Le imprecazioni sono come la crusca, ricadono su chi le manda.

La crusca, buttata in aria, ricade addosso; così è delle imprecazioni e delle bestemmie.

*crusca, da un ricostruito canilia D.


153.   JIRI   ARCELLIJANDU.

 Andare uccellando.

L'uccellare è spasso da signori, perditempo, insidia, beffa. Si guardi bene dunque, la persona seria e posata, dal farlo.


154.   JIRI  CH’ ‘I   MANI  ‘NDOLI  ‘NDOLI.

Andare con le braccia ciondoloni.

Andare in giro con le mani in tasca, senz'armi per difendersi, oppure, se si va in visita, senza doni.


155.   JIRI  VIDENDU  QUALI  FURNU  FUMA.

Andare cercando quale forno fumiga.

Non farsi i fatti propri.
Oziare, cicalare, fiutare il vento.


156.  ‘I  ‘NU  PILU  SI  FACI  ‘NU  PALU.

Da un pelo si fa un palo.

Quando si esagera.


157.   I  PEIU  GUAI  SU’  CHILLI  SENZA  PANI.

I guai peggiori sono quelli senza pane.

"I guai cu’ pani" sono sempre meno duri di quelli accompagnati dalla miseria.


158.   ‘I   PENI D’ ‘A  SCHIETTA
SUNNU  I  GODIMENTI  D’ ‘A   MARITATA.

Le pene della ragazza sono le gioie della donna sposata.

Questo proverbio ha un doppio significato.
Le pene della ragazza per la donna sposata che ha pesi e responsabilità, sono cose lievi che costituirebbero una gioia.Viceversa, la zitella si rode pensando che la "maritata" abbia felicità e soddisfazioni che a lei mancano.


159.   I  PERDUTI  DDEU  LI  VOLI  ARRICCHISCIUTI.

Gli "ultimi" Dio li vuole far prosperare.

Quando ci sente perduti di più, allora "là c'è la Provvidenza".


160.   I  PRIMI  PARENTI  SUNNU  I  DENTI .

I primi parenti sono i propri denti.

Bada prima al tuo pane e poi a quello degli altri.


161.   I  SAPUTI, ‘I  VOLI  PERDUTI.

 I saccenti (Dio) li vuole perduti.

Guai ai saccentoni con la loro vana boria.


162.   ‘I  SETTI  S’ASSETTA.

A sette si fa sedere (il bambino).

Non mettere a sedere i bambini prima dei sette mesi.
Norma igienica perchè non si danneggi l'ancora debole schiena.


163.   I  SORDI  DI  LL’ATRI  SI  MISURANU C’ ‘A   MENZALORA.

 I soldi degli altri si misurano con la "mezzalora".

Si esagera sempre quando si parla delle altrui ricchezze. La "menzalora" è una delle antiche misure calabresi: tumanu, menzalora, quartu, stuppellu, stuppelluzzu.


164.   I  SUMERI  SI  SCERRIJANU
E  I  BARRILI  VANNU  P’ ‘O   MENZU.

I somari si azzuffano ed i barili ne soffrono le conseguenze.

Nei paesi dove scarseggia, l'acqua si portava una volta con gli asini, nei barili. Se i somari si azzuffano, è facile immaginare cosa succede ai barili.


  

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