Di questo suo continuo peregrinare con il “maggiolino” grigio e la macchina fotografica, delle difficoltà incontrate durante la ricerca, della scoperta dice tanto il libro “G. Rohlfs, una vita per l’Italia dei dialetti” scritto dall’amico di Locri, Salvatore Gemelli. Nel 1960 è stato anche a Badolato nella casa del professore Nicola Caporale col quale intraprese indagini sulla botanica calabrese non solo dal versante linguistico e per gli stessi motivi, nel 1976, si intrattenne anche con lo storico Antonio Gesualdo. La stessa Badolato, nel 2002, con l’intitolazione di una piazza, ha voluto rendere omaggio a “il più calabrese dei figli di Germania” come recita la lapide apposta. Rohlfs davvero non dimenticò mai la proverbiale ospitalità dei pur rozzi calabresi tanto da apporre sul suo “Nuovo Dizionario Dialettale della Calabria”, questa dedica: “ A voi fieri Calabresi che accoglieste ospitali me straniero nelle ricerche e indagini infaticabilmente cooperando alla raccolta di questi materiali dedico questo libro che chiude nelle pagine il tesoro di vita del vostro nobile linguaggio.” Nel 2007, Antonio Panzanella, docente dell’Accademia delle Belle Arti di Catanzaro, è riuscito a rintracciare in un archivio di Berlino un inedito corposo raccoglitore con centinaia di scatti fotografici realizzati nella nostra regione e che costituiscono, indubbiamente, un eccezionale documento storico e iconografico della Calabria degli anni ’20. Queste foto, 250, scattate tra il 1923 e il 1924, oggi sono raccolte in un elegante volume edito col patrocinio della Regione Calabria e della Provincia di Cosenza. Sono immagini di una regione stretta in una miseria primordiale e ogni foto è corredata da una didascalia che corrisponde agli stessi appunti che Rohlfs prendeva su ogni scatto. Insomma scavo linguistico e racconto fotografico, parola e immagine, un abbinamento inconsueto per i tempi. Queste foto che, per dirla con le parole del Panzanella, costituiscono “una scelta consapevole dello studioso tedesco, un racconto puntuale e deciso” sono in mostra, da alcuni giorni e fino alle prossime feste natalizie nel Centro visite del Parco Nazionale dell’Aspromonte ospitato presso il Palazzo Tuscano e nelle sale del vicino Palazzo Mediani. Curatore dell’evento culturale, patrocinato oltre che dal Parco aspromontano anche dal Comune di Bova, è naturalmente Antonio Panzanella per il quale gli scatti fotografici del glottologo tedesco sono “l’altro linguaggio a supporto della comunicazione verbale”. Insomma aggiunge ancora il Panzanella che per il Rohlfs “fotografare significava andare oltre la parola, fermare un modo di vivere, cogliere il silenzio interiore, la verità di una condizione umana o, diciamo, addirittura il segno di un destino.”156 v
A CASA ‘E GALANTOMANI, BUSSA CH’ I PEDI. A casa di signori, bussa coi piedi. Amaro riferimento del povero all'avidità dei potenti, i "galantuomini" appunto, cui bisogna rivolgersi con le mani cariche di doni (e pertanto bussare alla porta con i piedi). 2. A CASA ‘E ’MPISU NON ‘MPENDIRI LUMERA. A casa d'impiccato non appendere neanche la lucerna. Non parlar di corda in casa d'impiccato. 3. A CASA ‘E RICCU NON SI GUARDA FOCULARU. A casa di ricco non si guarda il focolare. Quando vai da chi ha la dispensa e la cantina ben fornite, non temere: si mangerà sempre bene, anche se la cucina ("focularu") è spenta. 4. A CASA ‘I FORGIARU, SPITU ‘I LIGNU. In casa di fabbro, spiedo di legno. Il colmo dei colmi: il fabbro usa lo spiedo di legno e non quello di ferro. 5. ‘ A CCHIU BRUTTA È ‘A CUDA ‘U SI SCORCIA. La più brutta da scorticare è la coda. La parte conclusiva
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