Cattedrale di Gerace
La Cattedrale di Gerace, nelle sue forme attuali, risale al XII secolo. Restaurata a seguito di un rovinoso terremoto venne riconsacrata nel 1222 alla presenza di Federico II. E’ la chiesa antica più grande della Calabria. L'edificio, con i suoi 1898 metri quadri di superficie, rappresenta il massimo esempio di architettura sacra normanna della regione.
Giungendo nella piazza della Tribuna, venendo dalla piazza del Tocco, la cattedrale si erge maestosa con due absidi affiancate dall’Arco dei Vescovi che nasconde la terza abside. Il portaletto neoclassico ricavato dall’abside di destra conduce nella cripta, quindi per giungere all’ingresso principale bisogna oltrepassare l’arco e dirigersi verso occidente. La stranezza è che sulla piazza è visibile la parte posteriore del sacro edificio con le sue absidi e non la facciata principale, ma strano non è quando veniamo a sapere che la cattedrale, secondo il rito greco, è orientata ad est. La prima sensazione che si ha è quella di un castello o fortezza a causa dell'alta e compatta parete di pietra calcarea sulla quale si innestano i rigonfiamenti semicircolari di due delle tre absidi e del portale gotico che introduce al Palazzo vescovile, a fianco del quale possiamo ammirare lo splendido portaletto gotico fiorito con nella lunetta un mosaico riproducente l’immagine bizantina dell’Odeghitria, cioè la Madre di Dio che indica la via, dell’iconografo ateniese Nikolaos Houtos che nel 2002 ha realizzato l’opera commissionata da Giovanna Oliva.
Oltrepassando l’arco dei vescovi, su cui campeggia lo stemma del vescovo attuale e una grande meridiana che scandisce il tempo, si raggiunge un cancello in ferro, scendendo per alcuni gradini si arriva nella corte che racchiude la massiccia torre campanaria in pianta quadrata e ci si trova di fronte la facciata principale a salienti con archetti pensili e il portale ad archi concentrici a tutto sesto che conduce all'interno dell'edificio suddiviso a tre navate da 10 colonne per lato con un pilastro posto nella parte mediana. Le colonne e i capitelli sono tutti antichi di età imperiale provenienti dalle provincie imperiali dell’Asia Minore in granito ma la maggior parte in marmo delle cave della Tessaglia, del Proconnesio, della Troade, alcune lisce altre rudentate.
La pianta è a croce latina con transetto e presbiterio al centro del quale la grande cupola sovrasta l’altare in pietra consacrato da due vescovi: l’ordinario della diocesi Mons. Brigantini e dal Metropolita greco ortodosso d’Italia Mons. Spiridione nel 1995 e dedicato all’Unità della Chiesa, mentre il grande altare maggiore, posto alle spalle, è una grandiosa opera in marmo commissionata dal vescovo del Tufo nel primo trentennio del ‘700 ad Antonio Amato da Messina e ai fratelli Palazzotto da Catania.
L’abside di destra è stata ricostruita nel 1431 per volontà della contessa Caterina Concublet moglie del feudatario Giovanni Caracciolo conte di Gerace. Il lavoro è consistito nello sprofondare l’abside allineandola a quella centrale e creare la cappella di san Giovanni Battista, rimedicata nella prima metà del ‘500 al SS. Sacramento. La volta della cappella è a crociera scandita da costoloni gotici che poggiano su quattro colonne angolari mentre l’abside vera e propria che ospita l’altare è rivestita in marmo locale opera di marmorari geracesi e messinesi del XVII secolo. Nella picchietta trilobata laterale sinistra si ammira l’icona di N. Houtos raffigurante la “Presentazione al Tempio” commissionata dal P. Tarcisio Turco. Nel sacello posto a destra del tabernacolo si trovano reliquie di santi e un frammento della croce di Gesù. Nel transetto si può ammirare un crocefisso ligneo del XX secolo, opera dello scultore Correale da Siderno e un sarcofago marmoreo con intarsi in pietra mischia della famiglia Polizzi, opera di Lorenzo Calamech del 1599. Di fronte un altro sarcofago in marmo, contenente le spoglie di Giovanni e Battista Caracciolo, conti di Gerace nel 1392 e 1432. Il sepolcro fu realizzato nel 1575 da Giovan Domenico Manni, architetto e scultore locale.
Da questa navata si accede alla sagrestia che è a pianta quadrangolare in stile gotico. Sull'architrave una lapide in ricordo dei lavori voluti dal vescovo Bonardo nel 1593 e all'interno due statue in terracotta raffiguranti San Rocco e San Filippo Neri.
Da questa navata si accede alla sagrestia che è a pianta quadrangolare in stile gotico. Sull'architrave una lapide in ricordo dei lavori voluti dal vescovo Bonardo nel 1593 e all'interno due statue in terracotta raffiguranti San Rocco e San Filippo Neri.
Lungo le navate si trovano due ingressi, nella lunetta del portale di ingresso di destra si ammira il mosaico di gusto bizantino raffigurante la “Platitera” (la Madre di Dio che porta il figlio nel grembo) voluto dal vescovo Brigantini, mentre accanto all'ingresso laterale che immette nella navata sinistra, si può ammirare il bassorilievo raffigurante l'Incredulità di San Tommaso realizzato da Antonello Gagini su commissione di Tommaso Mercuri, membro del Capitolo della Cattedrale. Sempre qui, su una lesena in muratura, si trova un'iscrizione frammentaria del XIV-XV secolo con caratteri bizantini ad affresco. Al pilastro la lapide del vescovo Calceopilo mentre sul pavimento si notano le lastre tombali dei vescovi De Rosis e Belletto (XVII secolo). Le spoglie di Giovan Battista Chiappe, vescovo di Gerace dal 1922 al 1951, sono conservate in un sepolcro in pietra realizzato dall'architetto Gratteri con busto in bronzo di Marcello Orlando. Nel transetto una lastra bronzea, opera del Correale, raffigura l'Immacolata, il vescovo Mattei sotto le sembianze del vescovo Chiappe e suor Magdalena Gagliardi sotto le sembianze della committente mentre il volto di Maria riproduce quello della sorella. Sullo sfondo il castello, la cattedrale e la porta del Borghetto, in alto uno sparviero e sotto le case del borgo maggiore. L'opera venne commissionata da Beatrice Oliva.
La cripta si raggiunge tramite una scala seicentesca a tre rampe posta nel transetto sinistro ma si può accedere anche direttamente da piazza Tribuna, attraverso il portale realizzato nello spessore dell'abside dal vescovo Pellicano nel 1828. Ventisei colonne sorreggono la cripta e la dividono in nove piccole navate. Un cancello in ferro del 1669, opera di artigiani serresi, delimita la cappella dell'Odeghitria, sul cui altare è collocata la statua marmorea della Vergine col Bambino in braccio, opera di scultori napoletani del '300, rinvenuta da Giacomo Oliva nel 1973 in un'edicoletta di campagna (contrada Prestarona) e restaurata dal professore Giorgio Perrone. La cappella è abbellita da decorazioni marmoree del 1613 raffiguranti i simboli della Vergine. La volta è a botte ed è decorata con stucchi del XIX secolo. Sotto il pavimento in maiolica del '600, ci sono le tombe dei vescovi Rossi e Barisani.
A destra della cappella c'è una sinopia settecentesca che rappresenta la Madonna, San Maurizio e S. Ambrogio, riportata alla luce nel 1974. Il soccorpo ospita anche la cappella di San Giuseppe, che si trova in corrispondenza della cappella del Santissimo Sacramento (navata destra della cattedrale), dove si riunivano i canonici per discutere di questioni epistolari. L'abside della cappella di San Giuseppe presenta una monofora a doppio strombo sormontata da due bassorilievi raffiguranti l'Annunciazione in marmo del XVI secolo, opera attribuita ad ambito montorsoliano. A questa cappella si accede anche attraverso un portale gotico del 1431. Nella cappella di San Giuseppe è esposta una parte del tesoro della cattedrale che costituisce il nucleo centrale del Museo diocesano.
Tra le opere custodite: l'ostensorio del vescovo Pellicano in argento tempestato di smeraldi e rubini; un calice in filigrana degli inizi del Settecento; una corona in oro con brillanti e pietre dure, dono della popolazione nel 1947 a seguito dello scampato pericolo bellico; argenterie, paramenti sacri in tessuti pregiati, vasellame e suppellettili. Uno dei pezzi più importanti è sicuramente la Croce a doppio braccio che secondo la tradizione appartenne all'archimandrita Attanasio Calceopilo. Da ammirare, inoltre, una statua a grandezza naturale in argento commissionata dal vescovo Scoppa, opera di Gaetano Dattilo del 1772, e un busto di Santa Veneranda, in argento, che reca il punzone di Sebastiano Juvarra.
preso del libro di salvatore gemelli la cattedrelle di gerace
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