Conurbazione sviluppo per la locride
Leggo Riviera 28 ottobre 2007 dal sito web (è il
mio contatto settimanale con la Locride) e la notizia che i sindaci di Locri e
di Siderno (in ordine alfabetico) abbiano, nel corso di un dibattito e sia pure
fugacemente, accennato alla conurbazione tra Locri e Siderno mi riempie di
speranza.
Mi riporta anche agli anni giovanili del Liceo (1969-1971), quando, assieme all’indimenticabile (e, purtroppo, invece, troppo presto dimenticato, eccetto che in qualche ambiente culturalmente fortunato) Dott. Salvatore Gemelli, correvamo da un circolo all’altro per dimostrare, dati alla mano, come quella fosse l’unica soluzione possibile di sviluppo per l’intera Locride.
Erano anni di vivo fermento culturale: la passione politica era evidente e non vergognosa, i circoli proliferavano: con orgoglio ancora oggi rivendico il fatto che nell’estate del 1968, a pochi mesi dall’assassinio, a Locri, fondammo (ma l’idea fu mia: la rivendico senza pudori), con Giorgio Schirripa - psichiatra infantile di livello mondiale, prematuramente scomparso appena cinquantenne - ed altri amici tutti quindicenni (tra questi ragazzini ben tre di loro sarebbero diventati Sindaci di Locri) un’associazione intitolata a Martin Luther King (a Locri! Quarant’anni fa!)
Dico ciò per fare capire il legame - fortissimo, fisico e passionale - che ho con la mia terra e sull’affanno che sostanzialmente ha segnato la mia vita da emigrato: l’interrogativo, non risolto, su cosa possa fare io, da lontano, per Locri, per la Locride. Su cosa possano fare i tanti (troppi), che come me vivono e lavorano fuori.
Qualsiasi idea da me maturata nel corso degli anni non ha mai potuto prescindere dalla conurbazione tra Locri e Siderno (e di Gerace; e, aggiungo ora, delle due Gioiose, geograficamente ormai unite a Siderno ed a Locri; ed in Locri comprendo anche i paesi di Antonimina e di Portigliola).
Devo avvertire subito che la mia analisi ha il pregio ed il difetto di essere fatta da lontano: le beghe di piccolo conto tra i diversi municipi, le forze politiche locali avviluppate in dibattiti senza costrutto, le questioni addirittura irrilevanti che assurgono a valore fondamentale, visti da lontano neppure si scorgono (e se emergono appaiono sfumati, ridotti alla loro irrilevanza generale). La vista panoramica ha il limite di impedirti di vedere i particolari, ma il vantaggio di farti capire cosa stoni nell’insieme.
È addirittura ovvio rilevare che è stato sufficiente, all’inizio degli anni Novanta, l’apertura di trentacinque chilometri di strada per ottenere uno sviluppo addirittura inimmaginabile per Marina di Gioiosa, per ridare dignità e futuro a città pedimontane e quasi dimenticate, come Mammola, per consentire a Siderno quella formidabile espansione commerciale.
Ha rappresentato, quella strada, l’apertura verso il nuovo mercato della Piana e l’incremento dei destinatari dell’offerta.
Non vedo, però, altra espansione possibile se si rimane nell’attuale realtà urbana. C’è bisogno di nuovi e più efficienti servizi che continuano, invece, ad essere quelli di piccoli paesi (qualcuno dei quali troppo benevolmente autorizzato a fregiarsi del titolo di “città”), impossibilitati a modernizzarsi, dalla pochezza numerica della popolazione.
Locri, nel frattempo ha continuato a svolgere il proprio ruolo storico di centro della vita amministrativa e culturale del circondario e, assieme a Gerace, vanta i principali monumenti e la storia più gloriosa, di cui sono oggettivamente meno forniti i comuni viciniori: non conosce, però, il terziario, né l’industria; né li conoscerà mai, per una vocazione differente o forse per una maledizione atavica.
In altre parole, nessuna delle cittadine ha, da sola, la forza di ottenere nulla di importante, di incidere seriamente ed efficacemente per uno sviluppo reale. Alcune di esse hanno già raggiunto il massimo incremento realizzabile e, se non allargano i loro obiettivi, possono solamente implodere, magari aiutate in ciò dalla onnipresente ’ndrangheta che può volgere a proprio vantaggio la situazione, ma che avrebbe qualche problema (quanto meno organizzativo: il che potrebbe dare almeno un po’ di fiato) di fronte ad interessi diffusi e non limitati agli stretti ambiti paesani.
Via, quindi, in primo luogo le questioni di campanile: non c’è sviluppo di nessuno se non c’è uno sviluppo dell’intera zona; gli interessi particolari devono piegarsi a quelli generali.
Si tratta, nella sostanza, di imporre un modello di sviluppo che non coincide con ciò che perseguono di norma gli amministratori locali (se pur perseguono qualcosa: l’impressione è che vivano alla giornata, inseguendo solamente il quotidiano, che diventa subito emergenza), né con le esigenze avvertite della popolazione (anche queste genericamente legate alla ricerca dell’occorrente immediato). Proprio tale ultimo rilievo, però, induce ad una ulteriore riflessione: occorre lottare perché la nostra (rassegnata) gente abbia, invece, esigenze sempre maggiori, vere e proprie pretese, e non ricerchi soltanto ciò che serve a sopravvivere. Ciò che significa uscire da una povertà diffusa, acquisire una mentalità portata allo sviluppo, alla ricerca di un maggiore benessere individuale e generale, alla coscienza del diritto di avere migliori e più ragguardevoli servizi sociali e di poter fruire di infrastrutture di livello pari al resto della nazione.
Di non accontentarsi, insomma; di lottare per avere di più, per ottenere ciò che oggi neppure è pensabile e che, invece, rappresenta un diritto imprescindibile dei cittadini dell’Unione Europea.
Se siffatte maggiori esigenze affiorassero in maniera diffusa tra la gente, anche gli amministratori dovrebbero necessariamente elevare il loro livello e mutare il loro ambito di intervento, non limitare il proprio ruolo a quello - comunque importantissimo - di un capo guardia, ma correre a Roma ed a Brussels e qui puntare i piedi. Si tratta di non accontentarsi del poco che ci viene elargito, ma di proporre progetti anche enormi (gli americani dicono think big, pensa alla grande). Lo sforzo deve essere congiunto e deve tendere ad ottenere infrastrutture importanti e sovracomunali.
I nostri amministratori dovrebbero convincere se stessi che certi progetti che sembrano utopici ed irrealizzabili possono, invece, essere perseguiti. Devono lasciare la politica pragmatica, che impone di chiedere soltanto ciò che può essere alla portata. Alla portata dei nostri paesi c’è soltanto l’elemosina. Con l’elemosina si sopravvive, forse non si muore: ma non si va avanti, ma non si impedisce di sognare per i propri figli un futuro lontano dalla Locride. Occorre un grande sforzo anche di fantasia. I programmi ed i progetti di qualsiasi area politica, di qualsiasi amministratore sono sempre gli stessi, triti e ritriti, miopi e sostanzialmente miseri: valorizziamo i nostri prodotti, cerchiamo di ottenere un repartino ospedaliero o un corso su qualsiasi cosa, promuoviamo il turismo. Con la dimostrazione, con ciò, di non essere parte del mondo: nessuna iniziativa locale potrà incidere seriamente sullo sviluppo turistico di una zona. I veri flussi turistici - quelli che contano, quelli che consentono di vivere veramente di turismo - si stabiliscono a tavolino, lontano dai nostri lidi e richiedono investimenti privati di migliaia di milioni di Euro ed una stretta collaborazione con l’amministrazione pubblica, che deve compiere altrettanti investimenti. Non basta il mare, insomma: la riprova è costituita dagli alberghi che chiudono: negli ultimi anni a Siderno; vent’anni fa a Locri. Noi non riusciamo - perché non ne abbiamo la forza: ma un Sindaco di una città più potente potrebbe riuscirci - neppure a fruire di un patrimonio che è già nostro, gli Scavi archeologici di Locri, che - See more at: http://www.larivieraonline.com/conurbazione-sviluppo-la-locride#sthash.GQrXNQyP.dpuf
Mi riporta anche agli anni giovanili del Liceo (1969-1971), quando, assieme all’indimenticabile (e, purtroppo, invece, troppo presto dimenticato, eccetto che in qualche ambiente culturalmente fortunato) Dott. Salvatore Gemelli, correvamo da un circolo all’altro per dimostrare, dati alla mano, come quella fosse l’unica soluzione possibile di sviluppo per l’intera Locride.
Erano anni di vivo fermento culturale: la passione politica era evidente e non vergognosa, i circoli proliferavano: con orgoglio ancora oggi rivendico il fatto che nell’estate del 1968, a pochi mesi dall’assassinio, a Locri, fondammo (ma l’idea fu mia: la rivendico senza pudori), con Giorgio Schirripa - psichiatra infantile di livello mondiale, prematuramente scomparso appena cinquantenne - ed altri amici tutti quindicenni (tra questi ragazzini ben tre di loro sarebbero diventati Sindaci di Locri) un’associazione intitolata a Martin Luther King (a Locri! Quarant’anni fa!)
Dico ciò per fare capire il legame - fortissimo, fisico e passionale - che ho con la mia terra e sull’affanno che sostanzialmente ha segnato la mia vita da emigrato: l’interrogativo, non risolto, su cosa possa fare io, da lontano, per Locri, per la Locride. Su cosa possano fare i tanti (troppi), che come me vivono e lavorano fuori.
Qualsiasi idea da me maturata nel corso degli anni non ha mai potuto prescindere dalla conurbazione tra Locri e Siderno (e di Gerace; e, aggiungo ora, delle due Gioiose, geograficamente ormai unite a Siderno ed a Locri; ed in Locri comprendo anche i paesi di Antonimina e di Portigliola).
Devo avvertire subito che la mia analisi ha il pregio ed il difetto di essere fatta da lontano: le beghe di piccolo conto tra i diversi municipi, le forze politiche locali avviluppate in dibattiti senza costrutto, le questioni addirittura irrilevanti che assurgono a valore fondamentale, visti da lontano neppure si scorgono (e se emergono appaiono sfumati, ridotti alla loro irrilevanza generale). La vista panoramica ha il limite di impedirti di vedere i particolari, ma il vantaggio di farti capire cosa stoni nell’insieme.
È addirittura ovvio rilevare che è stato sufficiente, all’inizio degli anni Novanta, l’apertura di trentacinque chilometri di strada per ottenere uno sviluppo addirittura inimmaginabile per Marina di Gioiosa, per ridare dignità e futuro a città pedimontane e quasi dimenticate, come Mammola, per consentire a Siderno quella formidabile espansione commerciale.
Ha rappresentato, quella strada, l’apertura verso il nuovo mercato della Piana e l’incremento dei destinatari dell’offerta.
Non vedo, però, altra espansione possibile se si rimane nell’attuale realtà urbana. C’è bisogno di nuovi e più efficienti servizi che continuano, invece, ad essere quelli di piccoli paesi (qualcuno dei quali troppo benevolmente autorizzato a fregiarsi del titolo di “città”), impossibilitati a modernizzarsi, dalla pochezza numerica della popolazione.
Locri, nel frattempo ha continuato a svolgere il proprio ruolo storico di centro della vita amministrativa e culturale del circondario e, assieme a Gerace, vanta i principali monumenti e la storia più gloriosa, di cui sono oggettivamente meno forniti i comuni viciniori: non conosce, però, il terziario, né l’industria; né li conoscerà mai, per una vocazione differente o forse per una maledizione atavica.
In altre parole, nessuna delle cittadine ha, da sola, la forza di ottenere nulla di importante, di incidere seriamente ed efficacemente per uno sviluppo reale. Alcune di esse hanno già raggiunto il massimo incremento realizzabile e, se non allargano i loro obiettivi, possono solamente implodere, magari aiutate in ciò dalla onnipresente ’ndrangheta che può volgere a proprio vantaggio la situazione, ma che avrebbe qualche problema (quanto meno organizzativo: il che potrebbe dare almeno un po’ di fiato) di fronte ad interessi diffusi e non limitati agli stretti ambiti paesani.
Via, quindi, in primo luogo le questioni di campanile: non c’è sviluppo di nessuno se non c’è uno sviluppo dell’intera zona; gli interessi particolari devono piegarsi a quelli generali.
Si tratta, nella sostanza, di imporre un modello di sviluppo che non coincide con ciò che perseguono di norma gli amministratori locali (se pur perseguono qualcosa: l’impressione è che vivano alla giornata, inseguendo solamente il quotidiano, che diventa subito emergenza), né con le esigenze avvertite della popolazione (anche queste genericamente legate alla ricerca dell’occorrente immediato). Proprio tale ultimo rilievo, però, induce ad una ulteriore riflessione: occorre lottare perché la nostra (rassegnata) gente abbia, invece, esigenze sempre maggiori, vere e proprie pretese, e non ricerchi soltanto ciò che serve a sopravvivere. Ciò che significa uscire da una povertà diffusa, acquisire una mentalità portata allo sviluppo, alla ricerca di un maggiore benessere individuale e generale, alla coscienza del diritto di avere migliori e più ragguardevoli servizi sociali e di poter fruire di infrastrutture di livello pari al resto della nazione.
Di non accontentarsi, insomma; di lottare per avere di più, per ottenere ciò che oggi neppure è pensabile e che, invece, rappresenta un diritto imprescindibile dei cittadini dell’Unione Europea.
Se siffatte maggiori esigenze affiorassero in maniera diffusa tra la gente, anche gli amministratori dovrebbero necessariamente elevare il loro livello e mutare il loro ambito di intervento, non limitare il proprio ruolo a quello - comunque importantissimo - di un capo guardia, ma correre a Roma ed a Brussels e qui puntare i piedi. Si tratta di non accontentarsi del poco che ci viene elargito, ma di proporre progetti anche enormi (gli americani dicono think big, pensa alla grande). Lo sforzo deve essere congiunto e deve tendere ad ottenere infrastrutture importanti e sovracomunali.
I nostri amministratori dovrebbero convincere se stessi che certi progetti che sembrano utopici ed irrealizzabili possono, invece, essere perseguiti. Devono lasciare la politica pragmatica, che impone di chiedere soltanto ciò che può essere alla portata. Alla portata dei nostri paesi c’è soltanto l’elemosina. Con l’elemosina si sopravvive, forse non si muore: ma non si va avanti, ma non si impedisce di sognare per i propri figli un futuro lontano dalla Locride. Occorre un grande sforzo anche di fantasia. I programmi ed i progetti di qualsiasi area politica, di qualsiasi amministratore sono sempre gli stessi, triti e ritriti, miopi e sostanzialmente miseri: valorizziamo i nostri prodotti, cerchiamo di ottenere un repartino ospedaliero o un corso su qualsiasi cosa, promuoviamo il turismo. Con la dimostrazione, con ciò, di non essere parte del mondo: nessuna iniziativa locale potrà incidere seriamente sullo sviluppo turistico di una zona. I veri flussi turistici - quelli che contano, quelli che consentono di vivere veramente di turismo - si stabiliscono a tavolino, lontano dai nostri lidi e richiedono investimenti privati di migliaia di milioni di Euro ed una stretta collaborazione con l’amministrazione pubblica, che deve compiere altrettanti investimenti. Non basta il mare, insomma: la riprova è costituita dagli alberghi che chiudono: negli ultimi anni a Siderno; vent’anni fa a Locri. Noi non riusciamo - perché non ne abbiamo la forza: ma un Sindaco di una città più potente potrebbe riuscirci - neppure a fruire di un patrimonio che è già nostro, gli Scavi archeologici di Locri, che - See more at: http://www.larivieraonline.com/conurbazione-sviluppo-la-locride#sthash.GQrXNQyP.dpuf
Conurbazione sviluppo per la locride
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