celebrare
il ricordo del 25 aprile 1945 significa, per tutti noi, ribadire il valore
storico, politico e civile di una data che, nel nome della libertà, segnò per
l’Italia l’avvio di un’epoca nuova. Svilito e devastato dal ventennio della
dittatura fascista e da una guerra terribile, dalla quale uscì profondamente
distrutto, quel giorno il Paese potè volgere finalmente lo sguardo
all’orizzonte della democrazia, avviandosi a un percorso di riconciliazione e
ricomposizione dell’unità nazionale che ancora oggi, a 68 anni di distanza,
costituisce un insegnamento prezioso e un fondamento irrinunciabile della
nostra Repubblica.
In un
periodo di crisi che deriva non soltanto dalle difficoltà di un’economia che
non riesce a risollevarsi, ma segna innanzitutto lo smarrimento dei valori e
degli ideali portanti del nostro sistema sociale, avvertiamo più che mai il
bisogno di ritrovare quel filo conduttore che, dalle gesta del Risorgimento
alla lotta per la Resistenza, condusse alla rinascita della nazione, sospinta
in primo luogo dalla responsabilità e dalla consapevolezza del suo stesso
popolo. Quegli stessi punti di riferimento, oggi, possono aiutarci a contenere
e contrastare l’acuirsi delle incertezze individuali e collettive, la crescente
e diffusa sfiducia verso le istituzioni, la deriva demagogica di sentimenti e
pensieri populisti.
Come ha
affermato, nel suo discorso di giuramento, il presidente della Repubblica
Giorgio Napolitano, “Bisogna dunque offrire, al Paese e al mondo, una
testimonianza di consapevolezza e di coesione nazionale, di vitalità
istituzionale, di volontà di dare risposte ai nostri problemi: passano di qui
una ritrovata fiducia in noi stessi e una rinnovata apertura di fiducia
internazionale verso l’Italia”. Possiamo riuscirvi, tuttavia, solo recuperando
il senso di un’autentica solidarietà e coesione, a tutela dei più deboli, come
seppero fare allora le formazioni partigiane che nelle campagne, sui nostri
monti, nelle cento città del Paese, affiancando le truppe alleate giunte a
supporto dell’Esercito italiano, non esitarono a mettere a repentaglio la
propria vita per liberare i territori dall’oppressione nazifascista. Nella
commemorazione commossa e partecipe dei Caduti, rievochiamo il coraggio e la
dedizione assoluta dei giovani e dei padri di famiglia, delle donne che furono
straordinarie protagoniste in prima linea in questo doloroso e altissimo
cammino, degli intellettuali che non ebbero paura di schierarsi contro la
dittatura, dei sacerdoti che difesero fino all’ultimo istante la centralità dell’uomo
e rifiutarono di vederla schiacciata e annichilita dalla brutalità di
un’ideologia fondata sulla violenza.
Rendiamo il
nostro omaggio più sincero, oggi, a tutti i partigiani, alle persone comuni
barbaramente assassinate per aver difeso il diritto alla libertà, il cui nome è
inciso nelle radici della nostra democrazia. Voglio citare, adducendoli ad
esempio per tutti coloro di cui non pronunciamo il nome, pur portandoli nel
cuore, don Giuseppe Borea, Piero Bessone, Angelo Chiozza, l’umanista Luciano
Bertè, Pietro Cornelli, Raffaele Cerlesi, il giovane studente universitario
Giannino Bosi e l’avvocato Francesco Daveri.
Fu anche
grazie alla loro scelta di coerenza e consapevole sacrificio, che il 25 aprile
del 1945, all'indomani dell'ordine di insurrezione generale delle forze della
Resistenza emanato dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, molte
città del Nord, grandi e piccole, vennero liberate prima ancora dell'arrivo
delle forze alleate. Piacenza avrebbe ritrovato la propria indipendenza tre
giorni più tardi, il 28 aprile. E fu con lo stesso amor di patria che già le
rese l’appellativo di Primogenita nel 1848, che nell’amaro tributo di tanti
suoi figli scrisse le ragioni di quella Medaglia d’oro al Valor militare per la
Resistenza che le sarebbe stata assegnata, oltre cinquant’anni più tardi,
dall’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro.
In quella
primavera del 1945, che mai come allora fu reale e non solo metaforica
espressione di rinascita, gli italiani che poterono salutare la fine della
lunga e sofferta occupazione si unirono in cortei spontanei, esultanti. Fu,
come deve essere oggi per tutti i cittadini di questo Paese, la festa della
democrazia, della libertà, della pace. Di una nuova coscienza di popolo che in
questa ricorrenza vogliamo riaffermare e sentire nostra, senza mai dimenticare
coloro che resero possibile che ciò accadesse.
Penso alle
popolazioni di piccoli centri, come Marzabotto e Sant’Anna di Stazzema,
decimate dalle truppe naziste. Ai nostri partigiani falcidiati al Passo dei
Guselli, a Strà di Nibbiano, a Monticello. Alle migliaia di connazionali ebrei
deportati e sterminati nei campi di concentramento, di cui, autorevole
testimone, raccontò la tragedia Primo Levi. A coloro che come lui riuscirono a tornare,
portando per sempre sul corpo e nell’anima le ferite di quell’esperienza,
dall’inferno dei lager, dove un folle disegno volle far confluire e annientare
i portatori di presunte diversità. Alle donne e agli uomini di ogni ceto ed
estrazione, alle famiglie che nelle loro case protessero, pagando spesso con la
propria vita, i nuclei antifascisti e i custodi della Resistenza.
Vi chiedo
oggi un applauso forte e sincero, cittadini di Piacenza, per tutti coloro che
salvarono l'onore del nostro Paese consegnandoci un destino di democrazia e
libertà che potesse essere tale per tutti, anche per coloro che erano stati sul
fronte opposto, che sino al giorno prima erano considerati nemici. Mi riferisco
ai nostri partigiani, orgoglioso ed emozionato nel vedere alcuni tra loro
accanto a me, su questo palco. E’ nel loro esempio, nella loro generosa
dedizione, il senso di una lotta che seppe dare vita alla nuova identità
nazionale, fondata su diritti uguali per tutti. Ricordare quei valori e quegli
ideali ci permette di capire come, pur in quella situazione di gravissima
difficoltà, l’Italia potè rialzarsi e guardare al futuro.
Mi domando,
allora, se oggi saprà ritrovare se stesso il nostro Paese, che appare più che
mai vittima di un cambiamento epocale, che sembra lasciare poco spazio
all’ottimismo. La lotta per la Liberazione ci ha insegnato che, se non riesce a
difendere i propri ideali, un popolo è destinato ad essere servo, a spegnersi,
a lasciar soffocare ogni anelito di indipendenza, di autonomia. Ricordiamolo, in
questo nostro tempo che ci chiede di risvegliare gli ideali di allora,
riportandoli nel presente e riconquistandoli ogni giorno, perchè è nelle scelte
quotidiane, nella costante riaffermazione di libertà, equità e giustizia che si
ricostruisce e si consolida una democrazia. E, come ha detto pochi giorni fa il
nostro presidente Giorgio Napolitano, “Non si può più, in nessun campo,
sottrarsi al dovere della proposta, alla ricerca della soluzione praticabile,
alla decisione netta e tempestiva, per le riforme di cui hanno bisogno
improrogabile, per sopravvivere e progredire, la democrazia e la società
italiana”.
In questa
giornata di celebrazioni e di gioiosa condivisione, ogni piazza gremita è
simbolo di unità, di amicizia, della ricerca di un dialogo tra posizioni
politiche diverse che, in ambito locale come a livello nazionale, possono
trovare nella ricorrenza del 25 aprile il momento dell’incontro, la coscienza
di una responsabilità che ci accomuna. Anche per questo, facciamo sì che non
venga mai meno la memoria dei conflitti, delle tragedie cui siamo sopravvissuti
e del sacrificio dei Caduti: è nella memoria, che ci viene restituito il
significato profondo del rispetto e del senso di appartenenza alle istituzioni
democratiche, che i nostri partigiani hanno amato, difeso e accompagnato perché
potessimo ricostruire una società capace di garantire la convivenza civile, la
pace, la libertà. Non disperdiamo quel vento che soffiò il 25 aprile, non
dimentichiamo. Mai.
25/04/2015 festa della liberazione
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