Nella Calabria Meridionale, a 479 metri
sul livello del mare, è situato su una collina
avente le caratteristiche di amba (
una montagna piatta) che sorge tra i fi umi
Novito e San Paolo, difronte allo Jonio,
distaccato dai contrafforti dell’Appennino
Calabro, un paese in provincia
di Reggio Calabria: Gerace.
Per raggiungere Gerace occorre percorrere
la Statale 111 che unisce Gerace
allo scalo ferroviario di Locri (Km 10)
sul versante Jonico ed a Gioia Tauro
(Km 45) sul versante Tirrenico.
Gerace, (negli anni Girace, Jeracè,
Chirace, Giragio, Geraci, Gerace) proviene
dal greco Jeros “santo”, essendo
stata Gerace città santa per le numerose
Chiese, conventi e monasteri esistenti e
per il profondo senso religioso dei suoi
abitanti.
Tuttavia, alcuni sostengono che il nome
tragga origine da Santa Cyriaca, Santa
Domenica, nome che i Locresi verso il
IX secolo diedero alla loro città oppure
che il nome Giraci sia l’anagramma della
parola Grecia.
La leggenda vuole che i profughi locresi,
alla ricerca di un posto sicuro su cui fondare
la nuova città si siano fatti guidare
dal volo di uno sparviero: Hierax; dal
leggendario uccello potrebbe derivare il
nome Gerace.
Da Locri Epizephiri, antica repubblica
della Magna Grecia, trae diretta origine
Gerace.
Sulla facciata del palazzo della città è
murata un’Ara votiva, dei locresi dedicata
a Giove, agli dei ed a Roma.
L’Ara presumibilmente risale ai tempi
delle guerre puniche, essendo duce
dei Romani Scipione l’Africano (210
A.C.).
È facile che sia stata dedicata a Roma
dai locresi liberati dall’oppressione del
Legato romano Quinto Pleminio.
Ma l’incursione dei Saraceni iniziata
nel 825 e protrattasi per oltre un secolo,
costrinse i locresi a cercare rifugio sulle
alture vicine.
L’esodo dei locresi continuò gradatamente
per circa un secolo e mezzo.
Locri, distrutta dai saraceni nel 986
costrinse i profughi locresi, guidati dal
leggendario sparviero, a fermarsi sulle colline dove sorge Gerace.
La data di fondazione della città, a causa
della mancanza di notizie esatte, non è
possibile determinarla con precisione,
ma secondo alcuni storici la fondazione
di Gerace risalirebbe al 915, secondo altri
a qualche secolo prima.
Nel 1955 durante i lavori di restauro
della cripta della Cattedrale furono ritrovati
una mensa sacra ed elementi architettonici
dello VIII e IX secolo.
Gerace fu soggetta all’Impero Bizantino
ma non solo.
Dal 1059 al 1189 ci fu l’invasione Normanna;
dal 1189 al 1266 ci furono gli
Svevi; dal 1266 al 1442 ci furono gli
Angioini, dal 1283 al 1300 ci fù una
breve occupazione degli Aragonesi.
Gerace ricevette le attenzioni anche dagli
ordini religioni che sotto la guida di
grandi Papi, si prefi ssero di rafforzare lo
spirito religioso dei popoli e sgomentare
le eresie. Nel 1252 San Daniele, seguace
di San Francesco d’Assisi, fondò il monastero
dei Frati Minori che, dopo quello
di reggio, fu il primo in Calabria .
Nel 1348 Gerace venne elevata sotto
Giovanna I di Angiò, regina di Napoli,
a Contea.
Dal 1442 al 1503 ci fù l’occupazione degli
aragonesi.
Nella guerra franco-spagnola Gerace fu
occupata in poco meno di un anno.
Dal 1503 al 1707 Gerace si trovò sotto
il dominio spagnolo con effetti deleteri;
in seguito sopraggiunsero gli Asburgo
d’Austria, i Borboni; dal 1806 al 1815
ci furono i francesi e Gerace venne elevata
a capoluogo di distretto.
Durante i moti del 1847, 5 fi orenti e
gentili giovani persero la vita: Michele
Bello di Siderno, Gaetano Ruffo di
Bovalino, Domenico Salvatore di Bianco,
Rocco Verducci di Caraffa e Pietro
Mazzoni di Roccella, salvarono dall’ira
A CASA ‘E GALANTOMANI, BUSSA CH’ I PEDI. A casa di signori, bussa coi piedi. Amaro riferimento del povero all'avidità dei potenti, i "galantuomini" appunto, cui bisogna rivolgersi con le mani cariche di doni (e pertanto bussare alla porta con i piedi). 2. A CASA ‘E ’MPISU NON ‘MPENDIRI LUMERA. A casa d'impiccato non appendere neanche la lucerna. Non parlar di corda in casa d'impiccato. 3. A CASA ‘E RICCU NON SI GUARDA FOCULARU. A casa di ricco non si guarda il focolare. Quando vai da chi ha la dispensa e la cantina ben fornite, non temere: si mangerà sempre bene, anche se la cucina ("focularu") è spenta. 4. A CASA ‘I FORGIARU, SPITU ‘I LIGNU. In casa di fabbro, spiedo di legno. Il colmo dei colmi: il fabbro usa lo spiedo di legno e non quello di ferro. 5. ‘ A CCHIU BRUTTA È ‘A CUDA ‘U SI SCORCIA. La più brutta da scorticare è la coda. La parte conclusiva
GERACE
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