Passa ai contenuti principali

Pseudolo

Pseudolo, dopo aver incontrato Scimmia presso l'agorà, lo mette subito al corrente del suo piano. Mentre Ballione esce di casa, Scimmia, nelle vesti di Arpace, si avvicina a questi fingendo di non conoscerlo e chiedendo informazioni su dove si trovi il lenone. Non appena quest'ultimo si presenta, Scimmia gli mostra la lettera scritta dal soldato macedone, allegata al ritratto distintivo del soldato precedentemente sottratto al vero Arpace, e convince Ballione di essere il messo del mercenario. Ballione, dopo una rapida lettura del testo e dopo aver riconosciuto il ritratto di Polimacheroplacide, invita Scimmia a entrare in casa per consegnargli Fenicia. Pseudolo, riflettendo tra sé, lascia scorgere le sue preoccupazioni: crede infatti che Scimmia, colta un’occasione favorevole, possa fuggire con la ragazza, che Simone possa tornare dal foro anticipatamente e scoprirli oppure che il vero Arpace si possa presentare a casa di Ballione mentre Scimmia si trova ancora con lui. Fortunatamente però non accade nulla di tutto ciò e può tirare un sospirodi sollievo vedendo uscire Scimmia in compagnia della cortigiana. Questo, dopo aver tranquillizzato Fenicia svelandole il piano di Calidoro, raggiunge Pseudolo e insieme a quest'ultimo si dirige verso l'osteria per incontrare Calidoro, congiungere i due amanti e iniziare i festeggiamenti per la riuscita dell'impresa. Ballione, ignaro della beffa ricevuta, si sente sollevato dal fatto che Fenicia sia stata condotta via dal presunto servo di Polimacheroplacide e, una volta incontrato Simone, lo rassicura sul fatto che le venti mine promesse a Pseudolo sono ormai salve. Spiega al vecchio di aver già consegnato la ragazza al servo del soldato e di essere sicuro che non ci siano inganni, avendo riconosciuto il ritratto del mercenario macedone. Simone non vede l’ora di punire Pseudolo, ma poco dopo scorge uno straniero giungere dalla via del porto. Questi è Arpace, che, tornando dalla taverna, si lamenta che il servo di Ballione a cui aveva affidato il contrassegno non lo sia andato a chiamare. Ballione, credendo lo straniero essere un possibile cliente, gli si avvicina e Arpace, non appena si rende conto di aver di fronte il lenone, gli consegna le 5 mine necessarie a saldare il conto del padrone e a riscuotere Fenicia. Il lenone, credendo Arpace essere in realtà un aiutante di Pseudolo, inizia a sbeffeggiarlo, ma di fronte al sincero stupore del messo si rende conto di essere in presenza del vero servo di Polimacheroplacide e di essere stato beffato da Pseudolo. Inizia quindi a disperarsi, poiché deve restituire ad Arpace l'anticipo versato da Polimacheroplacide per la riscossione della ragazza e deve subire l'affronto arrecatogli dal servo Pseudolo. Simone, presente all'incontro tra Ballione e Arpace, si rende conto che sarebbe giusto consegnare le venti mine promesse a Pseudolo, poiché questi ha compiuto a suo avviso un’impresa ancora più grande dell’inganno di Troia. Giungendo dalla via della piazza con gli abiti in disordine e una corona in testa, Pseudolo, ubriaco, prega i suoi piedi e le sue gambe di sorreggerlo dopo una giornata piena d'azione e di divertimento. Racconta della festa a cui ha appena partecipato insieme a Calidoro, Fenicia e altri uomini e donne, di come abbia ballato suscitando l'ilarità degli astanti e di come si sia lasciato sedurre da una bella ragazza. Recatosi presso la casa del padrone, bussa alla porta e chiama a gran voce Simone. Questi esce di casa e ascolta ciò che il servo ha da dirgli: tra una beffa e l'altra è riuscito a sottrarre Fenicia al lenone e vuole il frutto della scommessa. Il padrone lo rimprovera per la sua sfacciataggine e per la sua maleducazione, essendosi presentato ubriaco, però a malincuore deve consegnargli il denaro vinto. Pseudolo, contento di aver ottenuto ciò che desiderava, lo invita a bere con lui promettendogli di restituire una parte della somma, poiché infatti non gli interessa il denaro in sé ma solo dimostrare la sua furbizia. Il padrone lo perdona per la beffa e accetta l'invito allargandolo agli spettatori: il servus callidus concede a questi di aggiungersi ai festeggiamenti solo in cambio di applausi per la commedia e la compagnia teatrale.




Commenti

Posta un commento

Post popolari in questo blog

proverbi calabresi

A CASA ‘E GALANTOMANI, BUSSA CH’ I  PEDI. A casa di signori, bussa coi piedi. Amaro riferimento del povero all'avidità dei potenti, i "galantuomini" appunto, cui bisogna rivolgersi con le mani cariche di doni (e pertanto bussare alla porta con i piedi). 2.        A CASA ‘E ’MPISU NON ‘MPENDIRI  LUMERA. A casa d'impiccato non appendere neanche la lucerna. Non parlar di corda in casa d'impiccato. 3.        A CASA ‘E RICCU NON SI GUARDA FOCULARU. A casa di ricco non si guarda il focolare. Quando vai da chi ha la dispensa e la cantina ben fornite, non temere: si mangerà sempre bene, anche se la cucina ("focularu") è spenta. 4.        A CASA ‘I FORGIARU,  SPITU  ‘I  LIGNU. In casa di fabbro, spiedo di legno. Il colmo dei colmi: il fabbro usa lo spiedo di legno e non quello di ferro. 5.       ‘ A CCHIU BRUTTA È  ‘A  CUDA  ‘U  SI  SCORCIA. La più brutta da scorticare è la coda. La parte conclusiva

Museo Archeologico Nazionale di Locri Epizefiri – Locri (RC) – Calabria

Il Museo Archeologico Nazionale di Locri fu costruito nel 1971 su progetto dell’architetto Giovanni de Franciscis, nelle immediate vicinanze della città antica, a 3 km dalla moderna città di Locri. Custodisce i reperti provenienti dagli scavi effettuati negli ultimi 60 anni, tra cui quelli dell’abitato di Centocamere (il quartiere dei ceramisti), delle necropoli di contrada Lucifero e contrada Parapezza e della varie aree sacre. E’ immerso nel verde di uliveti secolari, di aranceti e di piante di bergamotto.  I visitatori sono accolti dal profumo della zagara e del gelsomino e di mille piante selvatiche della macchia mediterranea nella quale è immerso l’attiguo parco archeologico che, oltre ai resti dell’antica città di Locri Epizefiri, offre anche un museo del periodo romano e i resti di un edificio termale romano            COSA POTRAI VISITARE NEL MUSEO?  La città di Locri Epizefiri fu fondata da coloni greci alla fine de

Ordine Dorico, Ionico e Corinzio ovvero gli Stili per l'architettura Greca

Ordine Dorico, Ionico e Corinzio ovvero gli Stili per l'architettura Greca Gli Ordini architettonici usati dagli antichi greci. Gli antichi architetti della Grecia per costruire i loro meravigliosi Edifici come per esempio quelli dedicati al culto, i celebri Templi crearono negli anni dei particolari metodi, degli stili conosciuti col nome di  Ordini architettonici  che attraverso dei precisi calcoli matematici e geometrici presentavano alla fine nella visione dell'architettura una precisa e perfetta armonia nelle forme e negli elementi. Questi Ordini architettonici serviranno nell'architettura Greca soprattutto a rispondere a delle esigenze concettuali, tra cui forse la più importante era l'eliminazione di qualsiasi forma di casualità nella realizzazione di un Edificio. Quindi con il termine di Ordine possiamo intendere l'insieme delle regole o dei canoni (dal greco kanòn, ossia norma, regola) che fissano forme e dimensioni delle varie parti che