Il Parco Nazionale dell’Aspromonte, istituito nel 1994, si estende per circa 76.000 ettari nella parte più meridionale della Calabria, comprendendo 37 Comuni della provincia di Reggio Calabria.
L’Aspromonte costituisce l’ultimo tratto delle cosiddette “Alpi calabresi”, che comprendono l’esteso complesso montuoso formato dalla Sila, dalle Serre calabresi e appunto dall’Aspromonte. Tali montagne, formate da rocce cristalline, principalmente graniti, hanno origine e geologia differente rispetto alla Catena Appenninica, di origine sedimentaria e con predominanza di calcari, che termina con il massiccio del Pollino e dell’Orsomarso.
Il massiccio dell’Aspromonte si presenta come un’enorme piramide di roccia stretta tra due mari, il Tirreno e lo Jonio. La cima più alta, il Montalto, con i suoi 1955 metri rappresenta un eccezionale belvedere da cui è possibile vedere lo Stretto di Messina, l’Etna e le isole Eolie.
Il versante tirrenico, costituito da substrati in genere di tipo cristallino, è caratterizzato dal susseguirsi di “petti”, ripide scarpate, e “piani”, aree pianeggianti formate da terrazze. Il versante ionico si distingue invece per un paesaggio eterogeneo, prodotto dall’erosione del substrato di origine per lo più sedimentaria.
Tipica dell’Aspromonte è la presenza delle “pietre”, grandi conglomerati rocciosi modellati dal vento e l’acqua che nel corso del tempo hanno loro dato delle forme particolari. Tra gli altri si citano la Pietra di Febo, la Pietra Castello, le guglie delle Torri (Dolomiti) di Canolo, le Rocche di San Pietro, le Rocce degli Smalidetti, la Pietra Cappa, la Pietra Lunga, la Pietra Castello, la Rocca del Drago. Nei pressi di Natile, anche per la presenza di insediamenti rupestri, il paesaggio ricorda quello della Cappadocia.
Un’altra peculiarità del massiccio è costituita dalle fiumare, corsi d’acqua senza sorgente che, a causa della considerevole pendenza e della brevità del percorso, assumono carattere torrentizio, con una grande capacità di erosione. Lungo il corso della fiumara Bonamico, nel 1972 una gigantesca frana ha dato origine al lago Costantino, unico lago di sbarramento italiano con una origine così recente.
LA FLORA
La vegetazione dell’Aspromonte è particolarmente ricca e diversificata, in particolare a causa del clima, differenziato non solo tra la costa e le aree interne montuose ma anche tra il versante jonico e quello tirrenico, dove si concentrano le precipitazioni maggiori.
La vegetazione è quindi differenziata tra i due versanti: su quello tirrenico si incontrano boschi di roverella intorno ai 700 metri, castagni fino ai 1000 metri, poi boschi misti di ontano, acero, frassino e carpino fino ai 1200 metri, quando iniziano le formazioni miste di pino laricio (conifera caratteristica della Sila e dell’Aspromonte) e faggio, sostituite alle quote più alte dall’associazione tra faggio e abete bianco. Sul versante ionico alle faggete presenti alle quote più alte si sostituiscono, intorno ai 1400 metri, i boschi misti di latifoglie e, intorno ai 900 metri, i boschi di farnetto. Alle quote più basse domina invece la macchia mediterranea. Lungo le fiumare è tipica la presenza, allo stato spontaneo, dell’oleandro e della tamerice.
Nei valloni che si affacciano sul Tirreno, tra i 200 e i 400 metri di quota, va segnalata la presenza di una rarissima felce tropicale, la Woodwardia radicans, presente in zone caratterizzate da elevata umidità, poca luce e minime escursioni termiche. Altra specie rarissima è la Digitalis purpurea, pianta velenosissima dai grandi fiori rossi (l'Aspromonte è infatti l'unica località della penisola italiana in cui questa pianta è presente, mentre è invece presente in Sardegna e in Corsica).
LA FAUNA
La varietà della fauna vertebrata aspromontana è influenzata dall’aspetto climatico che condiziona a livello locale la distribuzione della fauna con le specie termofile prevalentemente presenti o più abbondanti sul versante ionico del massiccio e quelle igrofìle più frequenti su quello tirrenico o a quote alte.
La fauna abitatrice degli ambienti d’acqua ferma si concentra nelle pozze e negli abbeveratoi creati dall'uomo, per l’assenza di specchi d’acqua.
Fra gli Anfibi troviamo il Tritone italiano (Triturus italicus) il più piccolo tritone d'Europa e la Salamandrina dagli occhiali {Salamndrina terdigitata), l'Ululone dal ventre giallo, (Bombina pachypus), un piccolo rospo che mostra una vivace colorazione ventrale che va dal giallo all'arancione con macchie nerastre.
Ululone dal ventre giallo
Nelle tipiche fìumare, quali quella dell'Amendolea, la fiumara Bonamico e la fìumara La Verde, si ritrovano fra gli Anfibi il Rospo smeraldino (Bufo viridis) e la Rana italica (Rana italica), piccola rana marrone, un endemismo italiano, essendo la sua diffusione limitata all'Italia peninsulare.
Le condizioni climatiche tipicamente mediterranee del versante ionico favoriscono la presenza di una ampia varietà di rettili: il Ramarro (Lacerta bilineata), una lucertola diurna verde di grandi dimensioni con testa massiccia e lunga coda che rifugge le più calde ore estive riparandosi in luoghi freschi ed umidi frequentando i margini di bosco, cespuglieti, radure erbose, prati, coltivi e pietraie.
La Testuggine comune (Testudo hermanni) è una tartaruga terrestre di medie dimensioni il cui carapace, in media di 20 cm di lunghezza, è fortemente convesso con colorazione a macchie giallastre e nere. Frequenta ambienti sia umidi che secchi e predilige gli habitat a fitta vegetazione. E' una specie diurna che trascorre le ore più calde della giornata nascosta nella vegetazione o all'ombra dei cespugli. Si nutre sostanzialmente di vegetali (foglie di fìllerea, leccio, mirto, aghi di pino, ecc.), ma integra la sua dieta con molluschi, crostacei, vermi, insetti, carogne ed escrementi.
Fra i serpenti la specie comune è il Biacco (Coluber viridiflavus), caratterizzato da una livrea dorsalmente nera e biancastra nelle parti inferiori. Ma le specie più interessanti sono il Saettone o Columbro d'Esculapio (Elaphe longissima) di costumi moderatemente arboricoli, e il Cervone (Elaphe quatorlineata). Quest'ultimo è il più grosso serpente italiano, potendo raggiungere i due metri e mezzo di lunghezza. La livrea dell'adulto è di colore beige-verde oliva con 4 linee scure (due per lato). Specie termofila, è abbastanza comune nelle radure e ai margini dei boschi, dove caccia mammiferi ed uccelli, che uccide per costrinzione. In Calabria è conosciuto con il nome dialettale di "pasturavacche" per l'errata credenza che vuole che questo rettile si nutra di latte attaccandosi alle mammelle dei bovini.
Infine relativamente comune è la Vipera comune o Aspide (Vipera aspis). Caratterizzata dalla testa chiaramente triangolare con una leggera prominenza della punta del muso verso l'alto, la Vipera è facilmente distinguibile dalla forma della pupilla, che è ellittica e verticale, come nei gatti, mentre tutti gli altri serpenti calabresi hanno pupilla tonda.
Tritone italiano
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L'Aspromonte presenta una notevole varietà di ornito-fauna in relazione all'ampia consistenza di ambienti boschivi: ricordiamo fra gli altri l'Upupa (Upupa epops), il Succiacapre (Caprimulgo europaeus), il Cuculo (Cuculus canorus). Tuttavia la specie ornitica forse più importante dei boschi aspromontani è il Picchio nero (Dryocopus martius), che popola le fustaie mature delle conlfere e dei boschi misti (soprattutto abete - faggio). Si nutre in prevalenza di larve di vari insetti xilofagi, ma depreda anche i formicai.
La presenza di pareti e alle valli incassate delle fìumare sono un habitat ideale per l'Aquila del Bonelli (Hieraaetus fasciatus), rapace tipicamente mediterraneo, che nidifica su alte pareti. Il nido è più tosto voluminoso ed è continuamente guarnito di rami secchi ma soprattutto di fronde sempreverdi della macchia al fine di riparare dall'esposizione diretta al sole le prede catturate. La consistenza della popolazione si stima essere di non più di due coppie, nonostante la conformazione dei dirupi aspromontani rappresenti un habitat favorevole. Altri rapaci diurni, più frequenti sul versante ionico, sono oltre il Nibbio bruno (Milvus migrans), il Biancone (Circaetus gallicus), il Pellegrino (Falco peregrinus), il Lanario(Falco biarmicus).
Fra i rapaci notturni segnaliamo, oltre al raro Gufo reale (Bubo bubo), al comune Allocco (Strix aluco), ed all'elegante Barbagianni (Tyto alba), l'Assiolo o Chiù (Otus scops), che, sebbene nidificante in tutta la regione calabra, dove però è prevalentemente migratore giungendo nei mesi primaverili, è sedentario in molte zone dell'Aspromonte, soprattutto a quote più basse, rimanendo presente per tutto l'anno. Il Corvo imperiale(Corvus corax), popola le parti più alte delle pareti delle fiumare. Questo passeriforme, comune sull'Appennino calabrese ed in Aspromonte, diviene più raro nell'Appennino centro-settentrionale, dove sono stati avviati degli interventi di reintroduzione con esemplari provenienti dalla Calabria.
La teriofauna aspromontana, pur varia, è un pò più povera rispetto a quella degli altri rilievi calabresi, avendo risentito in maniera più marcata della pressione venatoria e delle alterazioni dell'ambiente naturale.
È presente lo Scoiattolo Rosso (Sciurus vulgaris meridionalis), il cui dorso nero contrasta con la colorazione bianca del ventre, il Driomio(Dryomys nitedula), piccolo roditore presente soltanto in Calabria e sulle Alpi Nord – Orientali, che popola i boschi di conifere e latifoglie sia collinari che montani; la Martora (Martes martes), un mustelide sostanzialmente arboricolo, che predilige le grandi fustaie, rifugge gli ambienti antropizzati e caccia attivamente uccelli e mammiferi silvani, fra cui lepri, ghiri, scoiattoli. È presente anche il Gatto selvatico (Felis silvestris), diffìcilissimo da osservare, predatore con dieta rigorosamente carnivora.
fra i grossi mammiferi è comune il Cinghiale (Sus scrofa), la cui dieta è varia, si nutre sia di animali (piccoli vertebrati feriti o malati, insetti, lombrichi, lumache, uova) che di sostanze vegetali (erbe, frutta, funghi, ghiande, tuberi, radici). Meno presente il Lupo (Canis Lupus), un tempo presente in tutta Italia (con l'esclusione della Sardegna), sopravvisuto in Sicilia fino all'inizio del secolo, attualmente è presente con vari nuclei sulla dorsale appenninica anche se negli ultimi anni è stata segnalata la sua ricomparsa sia in Aspromonte che in Catena Costiera.
LA STORIA
L'Aspromonte è terra che da sempre mantiene profondi legami culturali con il Mediterraneo orientale, legami espressi nell'arte, nell'architettura e nelle tradizioni popolari. Le testimonianze della frequentazione storica di questo territorio sono presenti un po’ ovunque.
Tracce di frequentazione neolitica sono diffuse in tutto il Parco, e soprattutto nell'area dell'attuale Bova. Di origine preistorica è anche la Via Grande, un percorso di crinale che collega il massiccio dell'Aspromonte con le Serre, utilizzato per millenni ed ancor oggi visibile.
La colonizzazione greca del VII secolo a.C. diffonde in tutta l'area ionica i segni di quella grande civiltà e cultura che in Italia Meridionale prende il nome di Magna Grecia. Locri, vicina ai confini del Parco, conserva i resti del Santuario di Persefone e della cinta muraria.
Fortificazioni e fossati rinvenuti nell'area archeologica del Passo del Mercante sono invece databili all'età romana.
Tra il VII e il XII secolo d.C. i territori dell'Aspromonte sono interessati da nuovi flussi migratori di popolazioni greche. Queste più recenti contaminazioni culturali si sono mantenute vive sia nella parlata, detta appunto "grecanica", di alcuni paesi della punta meridionale della Calabria quali Bova, Roccaforte del Greco, Roghudi, Condofuri, che nel particolare disegno di alcuni rilevanti elementi del paesaggio. A Pietra Cappa, nel comune di San Luca, alti roccioni tondeggianti ricchi di grotte e dominati da complessi monastici di origine bizantina ricordano la Cappadocia.
Importanti sono anche le belle architetture normanne, come la splendida Cattedrale di Gerace.
Una nota a parte merita infine il centro abitato di Cittanova, caratterizzata dall'impianto urbanistico radiale settecentesco.
I PAESI DELL’AREA GRECANICA
L’isola ellenofona della Calabria si estende lungo le vallate della fiumara Amandeloa, del torrente Siderone e del San Pasquale, dominate dal versante sud dell’Aspromonte.
I paesi grecanici si trovano a circa 25 chilometri dalla costa, generalmente tutti su monti una volta inaccessibili: Bova, Roghudi, Chorio di Roghudi, Gallicianò, Roccaforte, cui si aggiungono i nuovi insediamenti migratori di Condofuri, Bova Marina, San Giorgio Extra, Arangea e Melito Porto Salvo.
1 – Bova, Bova Marina
Bova
Il paese di Bova (Vùa) è certamente tra tutti i paesi il meglio conservato e continua a resistere legato alle vestigia del suo passato quali le tante chiese, parte delle sue mura e del suo castello alla sua rocca, "l’orma della regina", il palazzo Nesci, il cadente vescovato.
Il Castello di Bova, ridotto allo stato di rudere, sorge in cima ad uno sperone roccioso, sul cui lato sud si estende il paese. I pochi ruderi rimasti del castello, sono assolutamente insufficienti a poter ricostruire la planimetria dell'insieme. Gli ambienti ancora leggibili sono siti a quote diverse ed è difficile comprendere il loro legame, la loro funzione, anche per il fatto che si è avuta un'alterazione dell'orografia originale della collina. Dai pochi elementi si può affermare che il castello fu progettato e costruito su vari piani di elevazione le cui fondazioni poggiavano direttamente sulla roccia. Gli ambienti ancora esistenti si trovano su tre livelli: al piano inferiore un "salone" al quale si accedeva attraverso un "corridoio"; al piano superiore due stanze e ancora più in alto una piccola cappella con pianta rettangolare coperta con volta a botte e affrescata, di cui restano ancora le tracce. I muri interni hanno lo spessore di oltre 60 cm mentre quelli esterni ricavati dallo scavo della roccia, misurano m 1.50 . Tali muri, realizzati a difesa del castello, presentano caditoie. Per la costruzione vennero usati mattoni di selce tagliata in lastre dello spessore di 5 cm, queste venivano poste in opera con malta calcarea dal colore giallastro. Al castello si addossavano le mura di cinta della città di cui faceva parte una torre, a pianta circolare, ancora oggi esistente. E' probabile che le strutture esistenti siano di età angioina, fine del XIII secolo. Nei secoli XV,XVI,XVII, in seguito alle incursioni turche, il castello rappresentò un ottimo e sicuro rifugio. Al diroccato castello sono legate diverse leggende. Su di un macigno, tra le rovine del maniero, è ancora visibile l'orma di un piede di donna che un tempo le giovani del luogo andavano a confrontare con il proprio. Secondo una leggenda l'orma sarebbe appartenuta alla Contessa Matilde di Canossa, che aveva ricevuto il castello dal Pontefice Gregorio VII. Se l'orma, quindi corrispondeva al piede di una fanciulla, questa avrebbe scoperto di discendere dalla Contessa di Canossa. Un'altra leggenda parla dell'orma della "Regina". Una Regina greca pare avesse fatto costruire il castello e se l'orma fosse coincisa con quella del piede di una giovane fanciulla, la fortunata avrebbe trovato il tesoro della regina.
Ad ovest dell’abitato del castello è presente la Torre Normanna o Parcopia, la cui costruzione risale al X secolo, contemporanea a quella del castello di cui faceva parte come sistema di difesa insieme alla mura e ad altre quattro torri. La Torre presenta una struttura unicircolare con anello basamentale più ampio di diametro, in pietra con ricorsi in mattoni. La parte superiore in muratura mista, pietre e cotto, presenta riseghe interne nella muratura, ed è dotata di un'apertura.
Al centro del paese, sulla Piazza Roma, è presente il Palazzo Nesci di Sant’Agata un interessante esempio di architettura civile settecentesca. La costruzione de palazzo risale ai primi anni del XVIII secolo che fu interamente restaurato dopo il terremoto del 1783. Il palazzo, realizzato con due corpi di fabbrica con impianto ad L è posto su due piani; ha una pianta quadrata con cortile centrale. L'intera facciata presenta una scansione nitida, di un polito neo-classicismo delle forme, nell'alternanza di finestre e balconi. La muratura è mista con l'inserimento di grossi conci di pietra squadrata. Ai lati del portale, con arco a tutto sesto, due paraste sostengono una trabeazione sulla quale è posto lo stemma della famiglia Nesci. Verso la fine del 1800 fu costruito un poderoso voltone laterale che collega il piano superiore del palazzo con un terrazzo dalla bellissima veduta panoramica verso vallata. All'inizio del '900 il palazzo è stato sede di un teatro e di casinò di società.
Tra i vicoli del paese, che portano alla sommità del colle, sorgono altri notevoli palazzi (Romeo, Larizza, Condemi) e resti di antichi palazzi gentilizi che testimoniano l'importanza della struttura residenziale nel tessuto urbano di Bova. L'elemento caratteristico di questi edifici è quello di avere l'accesso ai piani superiori tramite scale di legno interne. Essi sono generalmente costruiti in pietra e mattoni, legati da malte a base di calce, con intonaci esterni, spesso sono arricchiti da decorazioni di lesene, cornici e mensole. Le coperture sono realizzate in tegole locali, interessante risulta anche la tipologia dei portali d'ingresso. L'omogeneità di materiali costruttivi, di grana e di colore caratterizzano in maniera notevole l'ambiente urbano e lo qualificano. In prossimità della Cattedrale vi sono alcune abitazioni con vani ricavati nella roccia tufacea. Molto interessante è la presenza di un vecchio frantoio, esempio di archeologia industriale della fine del 1700, che sorge ai margini del centro storico.
Nell’abitato di Bova sono presenti tre fonti, fatte costruire dal Vescovo Fra Paolo Stabile nel 1700 per far confluire l'acqua in città e risolvere i disagi della popolazione di Bova per l'approvvigionamento idrico. Le antiche fonti sono quella di Petrafilippo che scaturisce da una grande roccia veniva utilizzata per bere; quella di Sifoni, la cui acqua, poiché ritenuta pesante, era adibita ad usi domestici; quella detta Clistì, che significa luogo velloso, che ha un'acqua leggera. Da questa fonte, un tempo, bevevano i cavalli e si riteneva che quest'acqua avesse delle proprietà che contribuivano a rinforzare gli animali. Si racconta che Papa Innocenzo XI chiese informazioni sull'acqua della fonte di Clistì, ormai nota come un'acqua che ingrassava i cavalli.
2 – Condofuri, Gallicianò, Amendolea
Fino ai primi anni del ‘900 Condofuri manteneva un ruolo marginale rispetto alle sue attuali frazioni di Gallicianò (Gaddicianò) e Amendolea (Amiddalia).
Amendolea fu definitivamente abbandonata dopo il terremoto del 1908 e ricostruita in forma di piccolo borgo agro-pastorale ai piedi della grande rocca dove ancora oggi sono visibili i resti del castello Ruffo. Amendolea sorgeva in un ruolo altamente strategico, in quanto la valle della fiumara Amendolea costituiva in epoca storica il confine tra Locri e Reggio.
Particolare attenzione merita il borgo di Gallicianò, ancora oggi interamente ellenofono (anche se la lingua greca è utilizzata per lo più in ambito domestico). Le tradizioni grecanica si conservano vive non solo in ambito linguistico ma anche in ambito musicale, gastronomico e rituale.
Nel 1999 a Gallicianò è stata aperta al culto la piccola chiesa ortodossa di Panaghia tis Elladas (Madonna dei Greci). Insiema alla chiesa di San Giovanni Theristis a Bivongirappresenta il ritorno del culto ortodosso in siti di antichissima tradizione greca.
Condofuri, un tempo in posizione marginale come dimostrato dallo stesso toponimo (che significa “vicino al paese”), è oggi il centro maggiore tra i tre e sede dell’amministrazione.
3 – Roghudi
Nell’idioma neogreco Roghudi significa “rupestre” e ben si adatta a descrivere questo luogo, a guardia della fiumara Amendolea e circondato da monti impenetrabili, adagiato su un crinale che precipita verso il fondovalle.
Grazie alla sua posizione isolata ha mantenuto per maggior tempo il suo dialetto grecanico, i costumi e le tradizioni, ma oggi il paese è praticamente spopolato. Oggi la nuova Roghudi si trova vicino a Melito Porto Salvo.
La vicina frazione di Chorio, anch’essa centro ellenofono, è famosa per le sue tradizioni artigianali, per gli intagliatori e per le tessitrici di ginestra.
LA TRADIZIONE GRECANICA
La musica e il canto tradizionale sono state il divertimento pressoché esclusivo nell’antichità e non fa eccezione l’Aspromonte Greco. Con gli anni '50 e '60 fra calamità naturali, emigrazione e spopolamento dei paesi interni ellenofoni a mano a mano la musica tradizionale come forma sociale è andata progressivamente scomparendo. La musica tradizionale ed i suoi strumenti accompagnavano tutte le fasi del ciclo della vita e dell'anno: matrimoni, battesimi (canzoni e sonate a ballu), funerali (lamento funebre) nonché le feste comandate: il Santo patrono, Natale, Capodanno, Pasqua, Carnevale. Tutte le feste private erano inoltre rallegrate dal suono tradizionale costituendo una continua occasione di socializzazione e di divertimento.
Una delle manifestazioni rituali legate alla cultura ed alla civiltà della Magna Grecia è la viddanedda, ritmo liberatorio con simbologie che ne determinano gli atteggiamenti coreografici. Quanto al simbolismo dei passi, delimitato lo spazio in cui il ballo doveva svolgersi, veniva prescelto un capo carismatico, un mastru d’abballu, che con gesti garbati dettava le entrate e le uscite degli spettatori nell’aria di sua pertinenza. C’era poi anche il rituale del corteggiamento, con incroci di sguardi e cenni inequivocabili.
Il filo melodico della viddanedda è affidato all’organetto, arganettu, un aerofono che ha sostituito la zampogna, mentre la scansione ritmica è assicurata dal tamburello, costituito da una membrana (pelle di capra ripulita dal pelo) tesa su una semplice cornice in legno sottile di forma circolare (in genere proveniente da un setaccio per farina). Per aumentarne la sonorità, il tamburello è arricchito da una fila a doppia serie di sonagli di latta.
Un altro strumento tipico della tradizione gracanica è la zampogna (ciaramedda).
La prima è la regina della musica aspromontana ed è caratterizzata da due canne che possono essere di eguale lunghezza (detta a paru) o lunghezza diversa (detta a moderna). La pezzatura della zampogna a paru era di piccole dimensioni, mentre
LE FIUMARE
Le fiumare sono corsi d’acqua tipici delle zone meridionali ed in particolare del versante ionico della Calabria. Una delle principali caratteristiche delle fiumare calabre è quella di avere un corso relativamente breve (30-35 chilometri) e di percorrere grandi dislivelli in pochissimi chilometri (passando da quasi 2000 metri di quota al livello del mare in poco più di 30 chilometri).
Le fiumare hanno regime torrentizio, spesso devastante nei periodi di piena che, in genere, corrispondono all’inizio della primavera, sia per lo scioglimento delle nevi in quota sia per le abbondanti piogge. Alluvioni negli anni ’50 e ’70 del Novecento hanno reso inagibili alcuni paesi lungo le fiumare determinandone lo spostamento a valle, sulla costa.
La caratteristica unica delle fiumare è però quella di non avere una sorgente: la o le sorgenti sono infatti mobili lungo il tracciato della fiumara, in funzione della quantità di acqua presente in quota.
Verso la foce il corso d’acqua scorre in ampi letti ghiaiosi, che possono raggiungere i quattro chilometri di ampiezza.
Le fiumare ioniche dell’Amendolea, di Melito, di Buonamico e della La Verde, con i loro affluenti come il Menta, il Ferraina, la Butramo e l’Aposcipo, con le creste rocciose che le separano tra loro, sono tra gli ambienti più interessanti e caratteristici del Parco.
Nella parte alta del loro corso, laddove spesso scavano profondi canyon, le fiumare attraversano boschi di faggio, di abete bianco, di rovere, di tasso; lungo le sponde vegeta invece la tipica vegetazione ripariale, composta da salici, ontani e pioppi. Nelle zone più umide ed ombreggiate dei valloni crescono due felci tropicali molto rare, la Woodwardia radicans (lungo i valloni del versante occidentale del massiccio) e la Pteris vittata (tra Bova e Palizzi).
Lungo i corsi d’acqua è possibile incontrare la salamandra pezzata e la salamandrina dagli occhiali, nelle pozze l’ululone dal ventre giallo, il tritone italico, il tritone crestato e la natrice dal collare. La presenza della lontra, chiamata localmente zinnapotamo, non è più certa.
In corrispondenza di gradini di roccia più dura le fiumare formano suggestive cascate, come quelle di Maesano, nell’alta valle dell’Amendolea, composte da tre imponenti salti d’acqua in un ambiente alpino; quelle di Forgiarelle lungo il torrente Ferraina; quelle del torrente Aposcipo, con un salto di 80 metri.
Tutte le fiumare, raggiunte le quote più basse, caratterizzate da pendenze minori, depositano grandi quantità di materiali inerti frutto dell’erosione avvenuta a monte, e si allargano in un alveo largo anche alcuni chilometri. Il corso d’acqua cambia spesso il suo corso all’interno dell’amplissimo alveo in funzione della quantità d’acqua che arriva dalle quote superiori.
Nel periodo estivo il letto delle fiumare è praticamente asciutto, caratterizzato da distese sconfinate di pietre bordate da tamerici, ginestre e oleandri e dalle piante tipiche della macchia mediterranea. Tipica la presenza di mirto, lentisco, euforbia arborea, erica arborea (dal cui legno si ricavano le migliori pipe in commercio) e ginepro feniceo, anche allo stato arboreo.
Sulle pendidi delle fiumare, nel tratto a valle, si coltiva il bergamotto.
Da sempre le fiumare hanno costituito un’importante, e spesso unica, via di penetrazione dal mare all’interno. Lungo il loro corso si sono sviluppate le attività rurali: per esempio lungo la fiumara Sant’Elia si trovano cinque antichi mulini che, grazie ad un sistema di chiuse e canali, ne sfruttavano le piene invernali.
Storici e geografici dell’antichità, quali Tucidide, Plino, Edrisi, Stradone e altri, ci hanno tramandato che alcune delle fiumare erano navigabili, probabilmente limitatamente alla parte più vicina alla foce ove il mare penetrava all’interno favorendo l’approdo delle imbarcazioni.
GERACE
Questo paese è figlio e allo stesso tempo padre di Locri: nato dalle rovine dell'antica Locri (alcune colonne di spoglio appartenenti a templi dell’antica Locri furono utilizzate per la costruzione della cattedrale di Gerace), diede origine poi alla marina di Gerace, che nel 1934 prese il nome classico di Locri.
Il nome di Gerace, paese all’interno del Parco dell’Aspromonte, deriva da Jerax, ossia sparviero.
Gerace, detta anche la Firenze del sud, fa parte de “I borghi più belli d’Italia”, associazione nata nel 2001 su impulso della Consulta del Turismo dell’Associazione dei Comuni Italiani (ANCI) al fine di valorizzare il grande patrimonio di storia, arte, cultura, ambiente e tradizioni presenti nei piccoli centri italiani come appunto Gerace.
Il borgo medievale sorge su un rilievo di arenaria che domina il territorio della Locride. Ancora oggi il borgo medievale presenta molti dei suoi caratteri originari, i portali in pietra lavorata, le stradine, i palazzi nobiliari, la cattedrale normanna, il castello, le tante chiese.
La cattedrale, orientata secondo il rito greco, si presenta con la parte absidata rivolta sulla piazza, assumendo carattere militare.
La consacrazione avvenne nel 1045 e poi nuovamente, in seguito ad un terremoto, nel 1222 alla presenza di Federico II. La cattedrale ha avuto vita travagliata in seguito ai continui terremoti (il sisma del 1783 la ridusse a rudere) e alle ricorrenti alluvioni.
I resti del castello sorgono al “Baglio”, uno spiazzo nella parte più alta del paese da cui si domina l’intero territorio circostante. Il nome deriva probabilmente da “baglivo”, uno dei magistrati in epoca medievale. La fortezza, di cui oggi rimangono solo i resti, era stata artificialmente separata dal borgo, con cui comunicava solo attraverso un ponte levatoio con una campata di oltre dieci metri. La fortezza si incentrava sul maschio, ossia il torrione principale.
La costruzione del castello dovrebbe risalire al periodo bizantino; di certo esisteva nel 950. Le strutture rivelano un’interessante stratificazione storica: ad una prima fase in epoca romana, seguirono una latomedievale ed una nel periodo due-trecentesco. Notevoli danni furono causati dai terremoti, in particolare quello del 1783.
Il Parco Nazionale dell’Aspromonte, istituito nel 1994, si estende per circa 76.000
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