Nel corso dei secoli molti viaggiatori hanno parlato dell'antica Locri Epizefiri nei loro resoconti di viaggio; resoconti attraverso i quali siamo venuti a conoscenza dello stato di conservazione dei resti dell'antica città nelle varie epoche.
Ma il primo vero studio sull'antica Locri Epizefiri lo si deve a Honoré Théodoric d'Albert, Duca di Luynes il quale, oltre allo scavo del tempio di "Casa Marafioti", realizzò anche la prima planimetria della città antica che venne pubblicata, nel 1830, ad opera dell'Istituto di Corrispondenza Archeologica di Roma. In seguito, Locri Epizefiri fu l'oggetto di studio di Pasquale Scaglione, originario di Gerace, che nel 1856 pubblicò un'opera dal titolo "Storie di Locri e di Gerace", ancora oggi importante per il gran numero di notizie che fornisce sulla zona della città antica che, altrimenti, non ci sarebbero mai pervenute. Tuttavia il vero inizio della storia archeologica moderna di Locri Epizefiri, si ha nel 1889 quando un giovane archeologo di Rovereto, Paolo Orsi, venne inviato a Locri dal Ministero della Pubblica Istruzione per affiancare (e soprattutto "sorvegliare") il famoso archeologo tedesco Eugen von Petersen che aveva ottenuto l'autorizzazione per svolgere una campagna di scavo tedesca sul territorio locrese. Campagna che, grazie all'aiuto dell'Orsi, si rivelò un successo e permise uno studio accurato del Tempio di Marasà (venne, inoltre, recuperato durante questa campagna il gruppo marmoreo dei Dioscuri che decorava il frontone dell'antico tempio). Passarono altri anni durante i quali gli scavi vennero nuovamente abbandonati a se stessi e le notizie di devastazioni e saccheggi erano all'ordine del giorno. Finchè, nel 1907, con l'istituzione delle Soprintendenze per tutelare maggiormente il patrimonio archeologico nazionale, nacque la Soprintendenza per la Calabria che venne affidata proprio a Paolo Orsi, dopo che egli stesso fece molte pressioni per ottenere tale incarico in seguito alla sua prima felice esperienza in terra locrese. Ed infatti Paolo Orsi diede subito inizio ad una lunga serie di fortunate campagne di scavo, non solo a Locri, ma anche in altri importanti centri archeologici della Calabria. Durante questo periodo, a Locri, egli riportò alla luce il Persephoneion (con il rinvenimento dei Pinakes), le necropoli indigene di Canale e Janchina, le necropoli greche di contrada Monaci e di contrada Lucifero; completò l'esplorazione del tempio di "Casa Marafioti" (dove rinvenne il gruppo statuario in terracotta detto del "Cavaliere di Marafioti"), raccolse una mole impressionante di dati anche attraverso piccoli saggi di scavo in varie zone della città e completò le planimetrie di tutte le aree fino ad allora esplorate. L'opera dell'archeologo roveretano a Locri termina nel 1915 (mentre continuerà a lavorare in altri centri archeologici calabresi fino al 1925), e per un lungo periodo nell'area l'attività archeologica si interruppe. Fino al 1940, quando a riprenderla fu il prof. Paolo Enrico Arias che scoprì il Santuario di Grotta Caruso e, soprattutto, individuò e riportò (in parte) alla luce il Teatro. Nel 1950 gli scavi vennero ripresi dall'allora direttore della Scuola Nazionale di Archeologia di Roma, prof. Gaspare Oliverio, il quale diede inizio ai lavori di scavo nella contradaCentocamere. Tali scavi riguardarono un'area molto vasta dell'antico abitato, riportando alla luce un intero quartiere e permettendo agli studiosi di meglio approfondire la conoscenza di alcuni aspetti di quella che fu la vita quotidiana nell'antica Locri Epizefiri. Scavi che, non ancora terminati, si interruppero nel 1956 a causa della prematura scomparsa del prof. Oliverio. L'attività archeologica nell'antica città, comunque, non si interruppe e, sempre nel 1956, Alfonso De Franciscis riprese gli scavi nell'area di Marasà e completò lo scavo presso ilTeatro. Lo stesso De Franciscis effettuò lo studio delle Tabelle del Santuario di Zeus Olimpio (rinvenute nel 1959) ed alcuni scavi minori. A partire dal 1969 si stabiliscono i primi accordi tra la Soprintendenza Archeologica della Calabria e l'Università di Torino e da quella data, con l'avvicendarsi di studiosi quali Giorgio Gullini e Marcella Barra Bagnasco, fino ai giorni nostri tali accordi hanno portato ad una lunga e fattiva collaborazione che ha contribuito in maniera notevole a farci conoscere meglio quella che fu una tra le più fiorenti città della Magna Grecia oltre, ovviamente, ad aver permesso di mettere in atto opere volte a preservare per le generazioni future quei monumenti che, già portati alla luce, sono ormai patrimonio di tutti. Ma l'antica Locri non ha ancora finito di stupirci; infatti solo una piccola parte del territorio dell'antica città è stata oggetto di scavi e quindi, sicuramente, nel corso dei prossimi anni, nuove meraviglie emergeranno dal suolo locrese. | ||
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A CASA ‘E GALANTOMANI, BUSSA CH’ I PEDI. A casa di signori, bussa coi piedi. Amaro riferimento del povero all'avidità dei potenti, i "galantuomini" appunto, cui bisogna rivolgersi con le mani cariche di doni (e pertanto bussare alla porta con i piedi). 2. A CASA ‘E ’MPISU NON ‘MPENDIRI LUMERA. A casa d'impiccato non appendere neanche la lucerna. Non parlar di corda in casa d'impiccato. 3. A CASA ‘E RICCU NON SI GUARDA FOCULARU. A casa di ricco non si guarda il focolare. Quando vai da chi ha la dispensa e la cantina ben fornite, non temere: si mangerà sempre bene, anche se la cucina ("focularu") è spenta. 4. A CASA ‘I FORGIARU, SPITU ‘I LIGNU. In casa di fabbro, spiedo di legno. Il colmo dei colmi: il fabbro usa lo spiedo di legno e non quello di ferro. 5. ‘ A CCHIU BRUTTA È ‘A CUDA ‘U SI SCORCIA. La più brutta da scorticare è la coda. La parte conclusiva
scavi di locri
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