Museo Archeologico - la storia
La storia
All'abate Giuseppe Furlanetto si deve la prima sistemazione nelle logge esterne del Palazzo della Ragione della ricca collezione lapidaria formata da iscrizioni greche, paleovenete e latine provenienti sia da scavi che da raccolte private. L'importante collezione fu inaugurata dall'imperatore Francesco I d'Austria il 15 luglio 1825. A questa data risale dunque la più antica raccolta archeologica pubblica di Padova. Nel 1835 fu arricchita da nuovi importanti reperti al cui ordinamento contribuì ancora Giuseppe Furlanetto.
Nella seconda metà dell'Ottocento Andrea Gloria, insigne paleografo, vero fondatore del museo patavino, ottenne dall'imperatore Francesco Giuseppe il deposito di alcuni dipinti del demanio, provenienti da conventi soppressi, a incremento della Pinacoteca che il Comune, su intenzione di Gloria, aveva intenzione di istituire. Ebbe così inizio, accanto al Museo Archeologico, la prestigiosa Galleria.
Il palazzo della Ragione e le sale comunali, in cui moltissimo materiale continuava ad affluire, divennero presto sedi inadeguate. Dopo varie discussioni e aspre polemiche animate da Pietro Selvatico che sollecitava la costruzione ex novo di un edificio accanto alla Cappella degli Scrovegni, nel 1880 si inaugurò la prima vera sede del museo nel quarto chiostro del convento del Santo, precedentemente usato come caserma e che fu riadattato per l'occasione dall'architetto Camillo Boito e dall'ingegnere Eugenio Maestri. In quella sede il museo fu concepito come un'unità culturale che riuniva tutte le collezioni storiche, artistiche e letterarie di proprietà del Comune di Padova. A partire dal 1880 s'aggiunse anche la sezione archeologica che fu arricchita in modo considerevole grazie ai ritrovamenti di Padova e della zona dei Colli Euganei effettuati da Federico Cordenons.
Dopo il riordino degli anni sessanta ad opera del professor Alessandro Prosdocimi, il Museo Archeologico rimase sostanzialmente inalterato e praticamente inattivo. Gli importanti reperti provenienti dagli scavi che si andavano effettuando in città e nel territorio su iniziativa della Soprintendenza Archeologica per il Veneto non trovarono, se non in minima parte, accoglienza nel museo, che veniva via via ceduto ai frati del Santo.
La sezione archeologica, nella sede di Piazza del Santo, fu chiusa al pubblico dal 1970 in seguito alla restituzione ai frati di alcuni locali, la cui funzionalità espositiva e museale appariva ormai superata. Nel 1985 si inaugurò la nuova sede del museo patavino con l'apertura di alcune sale archeologiche, secondo un geniale progetto dell'architetto Franco Albini che prevedeva felici e idonee soluzioni architettoniche e di restauro perfettamente inserite in quella splendida zona archeologica e artistica creando un intelligente collegamento tra la Cappella degli Scrovegni e la chiesa degli Eremitani.
La nuova sistemazione è frutto di un lungo lavoro. Si svolge attraverso sedici sale, in cui è documentata la continuità di vita dell'agro patavino dalla protostoria all'età romana. Sono stati privilegiati, dove possibile, ordinamenti cronologici e topografici. All'interno di alcuni contesti archeologici è stata realizzata un'esposizione per serie tipologiche di oggetti. Rispetto ai precedenti, il nuovo ordinamento ha variato l'assetto specifico degli oggetti all'interno delle vetrine sia per motivi di carattere conservativo, ma soprattutto per contestualizzare correttamente le raccolte secondo criteri più attuali.
Il palazzo della Ragione e le sale comunali, in cui moltissimo materiale continuava ad affluire, divennero presto sedi inadeguate. Dopo varie discussioni e aspre polemiche animate da Pietro Selvatico che sollecitava la costruzione ex novo di un edificio accanto alla Cappella degli Scrovegni, nel 1880 si inaugurò la prima vera sede del museo nel quarto chiostro del convento del Santo, precedentemente usato come caserma e che fu riadattato per l'occasione dall'architetto Camillo Boito e dall'ingegnere Eugenio Maestri. In quella sede il museo fu concepito come un'unità culturale che riuniva tutte le collezioni storiche, artistiche e letterarie di proprietà del Comune di Padova. A partire dal 1880 s'aggiunse anche la sezione archeologica che fu arricchita in modo considerevole grazie ai ritrovamenti di Padova e della zona dei Colli Euganei effettuati da Federico Cordenons.
Dopo il riordino degli anni sessanta ad opera del professor Alessandro Prosdocimi, il Museo Archeologico rimase sostanzialmente inalterato e praticamente inattivo. Gli importanti reperti provenienti dagli scavi che si andavano effettuando in città e nel territorio su iniziativa della Soprintendenza Archeologica per il Veneto non trovarono, se non in minima parte, accoglienza nel museo, che veniva via via ceduto ai frati del Santo.
La sezione archeologica, nella sede di Piazza del Santo, fu chiusa al pubblico dal 1970 in seguito alla restituzione ai frati di alcuni locali, la cui funzionalità espositiva e museale appariva ormai superata. Nel 1985 si inaugurò la nuova sede del museo patavino con l'apertura di alcune sale archeologiche, secondo un geniale progetto dell'architetto Franco Albini che prevedeva felici e idonee soluzioni architettoniche e di restauro perfettamente inserite in quella splendida zona archeologica e artistica creando un intelligente collegamento tra la Cappella degli Scrovegni e la chiesa degli Eremitani.
La nuova sistemazione è frutto di un lungo lavoro. Si svolge attraverso sedici sale, in cui è documentata la continuità di vita dell'agro patavino dalla protostoria all'età romana. Sono stati privilegiati, dove possibile, ordinamenti cronologici e topografici. All'interno di alcuni contesti archeologici è stata realizzata un'esposizione per serie tipologiche di oggetti. Rispetto ai precedenti, il nuovo ordinamento ha variato l'assetto specifico degli oggetti all'interno delle vetrine sia per motivi di carattere conservativo, ma soprattutto per contestualizzare correttamente le raccolte secondo criteri più attuali.
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