La terra di Calabria (15.080 Kmq) è essenzialmente montuosa. L'ultima propaggine della dorsale appenninica degrada verso il mare lungo 780 Km di coste, alte e pittoresche sul Tirreno, basse e rettilinee sullo Ionio. Il confine con la Basilicata è segnato per 80 Km dal massiccio del Pollino (2248 m) che scende verso il mare con la piana di Sibari (470 Kmq).
L' Appennino calabro corre verso la punta estrema dello stivale, svettando le sue cime più alte: il Montalto (1955 m.) nell'Aspromonte ed il Botte Donato (1928 m) nel massiccio della Sila.
La conformazione geografica della Regione ha impedito la formazione di grandi corsi d'acqua. Il Crati, che con il suo affluente Coscile attraversa la pianura di Sibari, ha un corso di 81 Km. ed il Neto, che come il precedente nasce dalla Sila e sfocia nello Ionio, è lungo 84 Km.
La regione con i suoi 2.139.000 abitanti (142 per Kmq) registra una densità di popolazione piuttosto bassa in Italia. Ma, come afferma il Gambi, "la distribuzione e la consistenza dei luoghi abitati non è un riflesso della topografia, ma di eventi squisitamente umani".(1)
Alla povertà del suolo, calcareo e brullo nelle zone settentrionali e siliceo con dense foreste in quelle meridionali, si sono aggiunte calamità naturali (terremoti, malaria ecc.) e fattori storici, soprattutto, che hanno soffocato per secoli lo sviluppo della regione. Le risorse economiche della Calabria, basate prevalentemente sull'agricoltura, hanno risentito, oltre che di una difficile e scarsa rete stradale, di sistemi alquanto arretrati di coltivazione, attuati in piccole proprietà terriere che danno redditi insufficienti agli stessi coltivatori.
Nel 1861 la regione era attraversata da 420 Km di strade. Agli inizi del '900 la rete stradale era di 3450 Km; oggi misura circa 15.000 Km. Ancora nella prima metà dell'Ottocento la Calabria era ben in vista in Italia per le sue industrie siderurgiche nelle Serre catanzaresi, la Mongiana e la Ferdinandea, e per quelle tessili della piana di Sibari dove si produceva in abbondanza cotone e lana. Con l'unificazione della penisola, venendo meno la politica protezionistica doganale borbonica, la regione si caratterizzò come terra di contadini e di emigrati. Proprio in questo periodo si accrebbe il divario tra lo sviluppo industriale del Nord e il sottosviluppo agricolo del Sud.
La "questione" affonda le sue radici nelle condizioni sociali ed economiche antiche: le conquiste araba e normanna, lo sviluppo del feudalesimo ed il formarsi del latifondo, l'accentramento monarchico dei regni angioini ed aragonesi, la lunga e sfruttatrice dominazione spagnola alla quale scarsi rimedi poté portare la dinastia borbonica.
La Calabria della seconda metà dell'Ottocento, con l'unificazione, invece di avvantaggiarsi dell'aiuto di altre regioni più progredite, si vide ulteriormente oppressa dalle tasse, dalla burocrazia, dalla coscrizione obbligatoria.
Ma questa "terra di miseria e di abbandono" possiede un patrimonio inestimabile di bellezze naturali e testimonianze di molteplici e straordinarie civiltà che qui si sono incontrate e scontrate, lasciando i segni.
Sono passati circa 14 mila anni da che le coste calabre ed i monti adiacenti furono abitati nell'età della pietra scheggiata, come attesta il materiale rilevato nella caverna di Torre Talao presso Scalea e nella grotta del Romito a Papasidero. In questa grotta profonda 50 metri e alta 10 è stato rinvenuto un disegno su roccia, delle dimensioni di 1 metro e 20 cm, che riproduce un toro. Il graffito è tipico della pittura muraria del Paleolitico.
Nello stesso 1961 fu ritrovata presso Roccella Ionica una necropoli di 37 tombe risalenti al periodo che va dalla fine della età del bronzo all'inizio dell'età del ferro. A Torre Mordillo, nel territorio di Spezzano Albanese, nel 1888 venne alla luce una necropoli di 229 tombe di epoca preellenica. Gli arredi tombali di queste necropoli testimoniano che le popolazioni indigene si fusero con i popoli greci, approdati sulle nostre coste nella seconda metà del sec. VIII° a.C.
Abili guerrieri, animati da desiderio di conquista, per necessità di sottrarsi alle persecuzioni religiose e politiche nella loro patria, cercarono nuovi lidi e si fermarono su quelli dello Ionio.
Una colonia di Achei nel 710 a.C. fondò Sibari e Crotone; più a sud approdò una colonia di Dori e fondò Locri. L'influsso della raffinata civiltà e dell'arte di queste città-stato sui paesi occidentali fu grande. Il tempo distruttore ci lascia ancora qualche testimonianza.
Nel VI° sec. a.C. per commerciare i loro manufatti in ceramica e le loro merci con i paesi campani ed etruschi, i Greci di Sibari, navigando il Coscile e attraversando la valle dell'Esaro, giunsero alla foce del Lao- attuale territorio di Scalea- e lì fondarono Laos.
La città di Sibari andava assumendo un posto di preminenza sulle altre città della Magna Graecia : Crotone, Locri e Reggio. Agli inizi del 500 a.C. era la prima città greca in Italia con 100.000 abitanti. Ricca e corrotta, incline alla vita raffinata, Sibari possedeva un vasto territorio e molti schiavi per poterlo sfruttare e per sviluppare il commercio. Ben presto, però, entrò in rivalità con Crotone, città di Pitagora, che nel 510 a. C. dimostrò la sua potenza, distruggendo completamente la grande Sibari.
Dopo la disfatta di Sibari, mentre Crotone lottava con Locri, dando inizio ad un periodo di decadenza e abbandono di quella zona, scesero dal Nord i bellicosi popoli dei Lucani e dei Bruzi. Questi si stabilirono sui monti della Sila, fondando la loro roccaforte (Cosenza) alla confluenza del fiume Busento col Crati. I Bruzi assoggettarono le popolazioni indigene, minatori e contadini che avevano abitato isolati le zone interne in seguito alla colonizzazione greca, con il proposito di dominare l'intera regione. Fu a questo punto che le colonie greche, con a capo Thurio fondata dai superstiti sibariti, si ribellarono e chiesero aiuto ai Romani (285 a.C.).
L'avvento della civiltà latina non cancellò del tutto quella magno-greca.
Ancora oggi tra le popolazioni calabre sopravvivono: lingua, usi, costumi e credenze di impronta greca. Il pianto ed i lamenti funebri delle donne calabre, discinte e spettinate, ricordano le"prefiche" greche. Il lamento funebre delle nostre contadine in epoche passate "si avvicina sensibilmente ai riti delle lamentazioni funebri del mondo pre-cristiano".(2) E' anche greca l'usanza ancora viva fino a qualche anno fa a Castrovillari e nei paesi del circondario, in occasione di un lutto, che parenti ed amici più intimi portassero alla famiglia in lutto, dopo il funerale, il pranzo pronto, poiché in quella casa non si poteva accendere il fuoco e cucinare. Anche le stoviglie ed il resto occorrente per la consumazione venivano portate nella casa in lutto e lì lavate per bene, tanto che non restasse nessun segno della casa sfavorita dalla sorte; si faceva altresì molta attenzione che non si rompesse qualche bicchiere (ciò sarebbe stato di cattivo augurio per la famiglia che offriva il pranzo,"u cunzu").
Con l'arrivo degli eserciti romani iniziò la decadenza della Magna Graecia e la schiavizzazione delle popolazioni della Regione che attraversò tempi difficili, per l'isolamento e l'abbandono in cui la lasciò Roma.
Immense estensioni boschive furono sfruttate dai Romani - come attesta esaurientemente Plinio, a. XIV, 25-6 - per ricavarne legname per la costruzione delle navi da guerra.
Tra le poche vestigia romane che il tempo ci ha tramandato: la via Popilia, l'attuale 19 delle Calabrie, costruita intorno al 128 a.C. per volere di Annio Rufo,che congiungeva Napoli con Reggio; la via Traiana, la attuale S.S. 18 tirrenica, fatta costruire dall'imperatore Traiano nel I° sec. a.C. ; la via Ionica, l'attuale 106, costruita nel I° sec. d.C. sotto Antonino Pio, che congiungeva Reggio con Eraclea (città colonia di Taranto).
L'astro romano cominciò a tramontare quando la Calabria fu invasa da popoli germanici di passaggio per l'Africa. I Visigoti con a capo Alarico, che incontrò la morte nel 410 presso Cosenza, e poi i Vandali costrinsero le popolazioni della costa a ritirarsi nelle zone interne, sulle montagne, per meglio difendersi. Le zone costiere, così, si spopolarono e divennero paludose e malariche.
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Spentesi le ultime battaglie barbare, cominciava a diffondersi un certo fervore religioso, dietro la spinta di M. Aurelio Cassiodoro che raccolse molti monaci nel monastero del golfo di Squillace.
Intanto da Bisanzio, capitale dell'impero d'Oriente, Costantino dichiarava il Cristianesimo religione di Stato.
Tra il IX° ed il X° sec cresceva l'influenza bizantina in Calabria, dando un notevole impulso alla società, sotto l'aspetto politico, economico e religioso.
Popolazioni bizantine e monaci di rito greco, detti basiliani, sospinti dalle invasioni saracene, migravano verso le zone interne della regione, dove ben presto sorsero importanti monasteri e centri abitati.
Mentre le popolazioni locali, in seguito alle scorrerie turche, si ritiravano sui monti, dando vita a nuovi borghi, i Saraceni fondavano i loro casali (Saracena).
La società del tempo vedeva emergere il ceto ecclesiastico e quello dei funzionari militari, acculturati. Fu sotto il dominio bizantino che la Regione, che dai precedenti conquistatori era chiamata Bruzio, fu denominata Calabria, terra bella (Kalà) e fiorente (brìo).
Infatti la regione attraversò un florido periodo, proprio in coincidenza con la sua bizantinizzazione, periodo destinato ben presto a concludersi con le invasioni normanne. Nella zona del Pollino le popolazioni anche sotto il giogo dei nuovi dominatori rimasero legate ai riti, alla lingua ed alla cultura bizantini, come testimonia il persistere di alcuni costumi ancora ai nostri giorni.
Sotto i Bizantini divenne obbligatorio imporre il sacramento del battesimo ai neonati, con il nome di un Santo. Col passare del tempo tra il popolo si radicò la credenza che col battesimo il bambino uscisse dallo stato animale e divenisse più buono rispetto ai non battezzati, discoli e di carattere irruento. Già in tenerissima età veniva dato insieme al Battesimo anche il Sacramento della Cresima, come si usa ancora oggi nei paesi di rito ortodosso. La cultura diffusa dai monaci basiliani ha introdotto nelle usanze dei popoli calabresi la venerazione delle immagini sacre e la liturgia della Settimana Santa, svolta con le sacre rappresentazioni.
In seguito alla conquista normanna, intorno all'anno Mille si diffuse maggiormente il cattolicesimo, per la tolleranza dei nuovi conquistatori, ma cessarono i contatti con Bisanzio. I Normanni favorirono il monachesimo per sostituire al rito greco quello latino. Tra il 1059 ed il 1061 per volere di Roberto il Guiscardo venne fondata l'abbazia della Matina, presso S. Marco Argentano.
La prima azione bellica dei capi normanni, Guglielmo Braccio di Ferro, conte di Puglia, e del fratello Roberto contro i Bizantini si ebbe nella valle del Crati. Il Guiscardo, che nel 1057 aveva iniziato la conquista della regione, spingendosi fino a Reggio, nel 1064 occupò Castrovillari e poi Morano e Cassano.
Iniziò un periodo di sviluppo e ristrutturazione del territorio che fu diviso in contee, sotto la giurisdizione dei nuovi signori.
Con i Normanni inizia il Feudalesimo. Questi, infatti, distribuirono territori e città ai signori feudatari, loro fedeli, che in breve tempo divennero molto potenti e cominciarono a covare progetti di indipendenza.
Molte furono le guerre sotto il regno di Federico II°, un regno all'insegna del pesante fiscalismo.
Alla morte del grande Federico II°, il Papa, appoggiato dai Baroni calabresi, chiamò Carlo d'Angiò, per sottrarre i territori ai Normanni.
Le terre vennero cedute ai nuovi feudatari francesi (i conti).
Sotto Gli Angioini dal 1266 al 1441 la Calabria visse un periodo di crisi economica e politico-sociale. Le popolazioni si ritiravano sulle alture in luoghi inaccessibili, spopolando i borghi, per sfuggire agli esattori angioini, mentre in Sicilia il popolo si ribellava con la guerra del Vespro nel marzo 1282.
In questo periodo di depressione sociale e morale andava diffondendosi l'opera di predicazione dei Fraticelli, seguaci di Gioacchino da Fiore.
Dopo un lungo periodo di guerre gli Angioini vennero scacciati dagli Aragonesi. Sotto i nuovi dominanti (dal 1442 al 1503) le condizioni di crisi della regione non cambiarono. Gli strati più poveri della popolazione, le masse contadine, i pastori, sopraffatti dalle esazioni fiscali, covavano sempre più odio contro gli Aragonesi. Castrovillari si ribellò al re Ferdinando e questi, per tenere a freno la popolazione, fece costruire un imponente baluardo all'ingresso della città. Eravamo alla fine del 1400 e la dinastia aragonese cominciava ad avviarsi al suo tramonto nel Regno di Napoli.
In pochi anni le terre furono usurpate dai baroni. Poche furono le città che riuscirono a conservarsi demaniali. Le potenti famiglie ricevettero vaste estensioni di territorio, in cambio di appoggi alla dinastia regnante. I Sangineto si stanziarono ad Altomonte; a Morano regnarono prima i Sanseverino e poi gli Spinelli; i feudi di Saracena e Lungro erano in mano ai Sanfelice. Ed anche Castrovillari, dichiarata città demaniale da Ferrante d'Aragona, fu venduta nel 1521 a Giovan Battista Spinelli, Conte di Cariati, per 28.000 ducati.
Il carico fiscale era sempre più pesante; e i baroni, che avevano il monopolio del commercio dei prodotti agricoli, costringevano molti proprietari a vendere le loro terre.
Incominciava un periodo nero per la Calabria.
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Quelli della dominazione spagnola furono anni di atroci sofferenze, di contrasti con i baroni, acuiti da carestia e da pestilenze: terribili quelle del 1656 e del 1668 che mietevano le popolazioni, riducendole di un terzo. La popolazione della Calabria, che alla metà del Cinquecento era di 800.000 abitanti, alla fine del secolo era calata a 555.000 abitanti.
Dopo la terribile peste nel 1661 si contavano circa 408.000 abitanti.(4) Un incremento demografico si ebbe verso la fine del Settecento, quando il numero degli abitanti salirà a 725.000.
Le grandi famiglie agli inizi del 1600 davano i primi segni di decadenza, in conseguenza della loro vita sfarzosa. Ma il dissesto finanziario si ripercuoteva sulla popolazione con più pesanti tasse. I grandi latifondi baronali col tempo passarono in mano ai fittavoli.
L'economia diede segni di ripresa nei primi decenni del Settecento quando giunsero le prime riforme del saggio Carlo III° di Borbone.
Mentre l'Italia centro-settentrionale rifioriva culturalmente dietro la spinta del movimento umanistico-rinascimentale, la Calabria restava una regione inaridita dalla feudalità, appartenente al Regno di Napoli. L'aristocrazia feudale, d'intesa con il governo spagnolo, aveva raggiunto posizioni influenti nella società. Le grandi famiglie possedevano i latifondi e vivevano nel lusso del loro castelli, che, cinti da alte mura, separavano "i signori" dai rozzi contadini .
La popolazione, misera, che da molti anni languiva nel borgo intorno al castello, pagando esosi tributi ai feudatari e alla Chiesa che possedevano ingenti proprietà, cominciava a ribellarsi alle ingiustizie del malgoverno spagnolo.
Verso la fine del 1600 inondazioni e gelate invernali compromisero i raccolti e nel 1693 un forte terremoto si abbattè sulla Calabria, recando morte e distruzione a Castrovillari, Morano, Mormanno ed altri centri della regione. Furono anni di miseria e di carestia.
Sotto la dominazione spagnola le deserte contrade della Calabria settentrionale andavano popolandosi di famiglie albanesi, profughe dalla loro patria invasa dai Turchi.
Dopo la morte dell'eroe Giorgio Castriota Skanderbeg nel gennaio 1468, il popolo albanese, sopraffatto dai Turchi, cominciò l'esodo verso le coste calabre. Gruppi di pastori profughi, spintisi verso le zone interne, alle falde del Pollino, fondarono i primi villaggi (gruppi di capanne costruite con fango e paglia) Frascineto, Eianina, Civita, Lungro, Firmo, San Demetrio Corone, San Basile, Acquaformosa, Spezzano Albanese ed altri.
I rapporti tra le nuove etnie e le popolazioni indigene non furono inizialmente dei migliori.
Le popolazioni albanesi hanno lingua, costumi e mentalità diverse, oltre al rito greco che le ha tenute unite etnicamente fino ai tempi odierni.
Le comunità arbereshe, da secoli ben integrate nella nostra terra, continuano a lottare, tenendo vive le loro tradizioni popolari, per conservare la loro identità, per non lasciar disgregare la loro cultura etnica e linguistica.
Gli Albanesi residenti attualmente in Calabria sono più di 100 mila, distribuiti in 25 comuni della Provincia di Cosenza ed in 8 di quella di Catanzaro.
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Nella prima metà del Settecento la Calabria si avviava ad un periodo di riforme, sotto l'amministrazione di Carlo III° di Borbone (salito sul trono di Napoli nel 1743). L'attività lavorativa che sembrava godere di una fase di ripresa, soprattutto nell'industria della seta e nella lavorazione del legname, nella seconda metà del secolo entrò in crisi.
Le critiche condizioni della società furono aggravate dalle calamità naturali che si abbatterono sulla regione, soprattutto nelle sue zone meridionali.
Nel 1783 un tremendo terremoto causò danni irreparabili a molti paesi. I raccolti agricoli andarono persi; i fiumi strariparono e inondarono terre e villaggi; la popolazione versava in condizioni di indigenza veramente spaventose. Il governo borbonico per porre riparo a tale situazione istituì la "cassa sacra". Tale istituzione aveva il compito di requisire i beni appartenenti alla Chiesa e, rivendendoli, utilizzare i fondi per costruire strade e bonificare le terre paludose. Si intendeva venire incontro alle necessità delle masse contadine anche con una riduzione delle tasse e l'assegnazione di un pezzo di terra da coltivare per sopravvivere.
La "cassa sacra" tendeva ad eliminare il latifondo ecclesiastico ed a favorire le classi meno abbienti, ma finì per avvantaggiare la classe borghese (i galantuomini). Cominciò così ad acuirsi la profonda frattura tra la classe borghese, sempre più emergente, e quella dei contadini che alla fine del settecento porterà a sanguinosi scontri.
Nel febbraio 1806 i Francesi occuparono Napoli. Si cominciava anche in Calabria a respirare aria di riforme e di libertà.
Durante il governo dei napoleonidi - dal 1806 al 1815- si assistette ad un notevole rinnovamento: la società calabra si avviava ad una graduale evoluzione liberale e democratica.
Nell'agosto 1806 fu emanata la Legge sulla eversione della feudalità.
LEGGE EVERSIVA DELLA FEUDALITA' - 2 AGOSTO 1806
1 - La feudalità con tutte le sue attribuzioni resta abolita. Tutte le giurisdizioni baronali e i proventi annessi sono integrati alla sovranità.
2 - Tutte le città, terre e castelli, abolita qualunque differenza, sono sottoposte alla comune legge del Regno.
3 - I fondi e le rendite feudali sono soggetti a tutti i tributi come ogni altro fondo o rendita.
4 - Sono abolite tutte le angherie, la parangarie ed ogni altra prestazione o servigio che i feudatari solevano riscuotere dalle popolazioni.
5 - Sono del pari aboliti tutti i diritti proibitivi, i diritti di pesca, "bagliva", scannaggio ed altri. Solo lo stato può fare concessioni o stabilire privative.
6 - I demani feudali restano agli attuali possessori, e così pure i cittadini continueranno a godere degli usi civici su di essi costituti, fino a quando una legge non ne ordinerà la divisione fra ex feudatario e cittadino, in base al valore dei rispettivi diritti.
Per derimere le immancabili controversie fra feudatari e Stato e fra feudatari e Comuni, viene costituita la Commissione Feudale, con sede in Napoli".(5)
Tale Legge antifeudale prevedeva l'abolizione dei privilegi dei baroni, lasciando agli stessi il possesso delle loro terre, inoltre attribuiva ai Comuni le parti di feudo - boschi e pascoli- su cui le popolazioni esercitavano gli usi gratuiti di semina, pascolo e raccolta di legna da ardere. I baroni-feudatari, privati degli antichi privilegi, divennero semplici proprietari delle loro terre. Così fu avviata la divisione delle terre demaniali tra feudatari e Comuni e la distribuzione da parte di quest'ultimi ai contadini che erano tenuti a pagare un canone annuo. Molti contadini, però, non avendo i mezzi necessari, furono costretti a vendere la terra loro assegnata ai più ricchi , che intanto arbitrariamente avevano usurpato vaste zone di demanio comunale.
La legge dei Napoleonidi non eliminò l'accentramento della proprietà terriera nelle mani di poche famiglie, ma fece scomparire la classe dei baroni, come ceto. In realtà questa forza sociale, insieme al clero ed alla nuova borghesia -notai, medici, avvocati - sopravvivrà ancora e condizionerà gli sviluppi e le trasformazioni della società meridionale.
Il governo francese riformò anche l'amministrazione fiscale, introducendo l'imposta fondiaria; e nel gennaio 1809 emanò un nuovo codice penale. Ma una delle più significative riforme amministrative riguardò la suddivisione del Regno.
La suddivisione amministrativa e giurisdizionale della Calabria, disposta dai Francesi nel 1806, comprendeva: la Provincia di Calabria Citra (il territorio più vicino a Napoli) e la Provincia di Calabria Ultra (più distante dalla capitale del Regno). Il confine era segnato dal corso dei fiumi Neto (sulla costa ionica presso Crotone) e Savuto sul Tirreno.
La Provincia "Citeriore" comprendeva:
1 - il Distretto di Cosenza con 142 Comuni
2 - il Distretto di Castrovillari con 52 Comuni
3 - il Distretto di Paola con 52 Comuni
4 - il Distretto di Rossano con 38 Comuni.
La Provincia "Ulteriore" con capitale Vibo Valentia (l’antica Monteleone) comprendeva:
1 - Il Distretto di Vibo con 164 Comuni
2 - Il Distretto di Gerace con 61 Comuni
3 - il Distretto di Catanzaro con 84 Comuni
4 - il Distretto di Reggio con 102 Comuni.
La suddivisione delle due province fu imposta dalla corte di Napoli soprattutto per ragioni fiscali ed amministrative.
Ma con il ritorno dei Borboni sul trono di Napoli nel 1816 la Regione fu divisa in tre Province:
1 - Calabria Citeriore con capitale Cosenza
2 - Calabria Ulteriore I° con capitale Reggio
3 - Calabria Ulteriore II° con capitale Catanzaro.
Ai centri capoluogo di Provincia spettava l'amministrazione delle finanze, del commercio, della sicurezza pubblica.
Si organizzavano i Consigli comunali; "i Comuni venivano dotati di un Sindaco e di una giunta (il corpo di Città), i cui membri venivano scelti fra una ristretta élite di proprietari terrieri e di professionisti. (6)
Le riforme dei Francesi non ottennero i risultati sperati, soprattutto in seguito alla politica dei Borboni, che vennero restaurati sul trono di Napoli nel 1816 e vi resteranno fino all'arrivo di Garibaldi nell'agosto 1860.
Gli anni che precedettero l'Unificazione della penisola fecero registrare un incremento della popolazione calabra che da 805.042(censimento del 1816) passò a 1.206.302 abitanti (censimento del 1861). (7)
La popolazione aumentava; si incrementavano i centri urbani; venivano dissodate vaste estensioni di boschi e coltivate a frumento. Progrediva nella Regione inoltre la coltivazione dell'ulivo, della vite e del gelso; e si diffondeva l'allevamento del bestiame. Chi si dedicava a questa attività prendeva in fitto vaste estensioni di terra per poter lasciare al pascolo le sue mandrie. All'aumento della popolazione corrispose una maggiore richiesta di prodotti agricoli; ma le tecniche produttive non subirono innovazioni e la produttività non accelerò il suo ritmo. I contadini molto spesso furono costretti a vendere il proprio fondo ed a prestare la loro opera come salariati. Furono anni terribili in cui il bracciante spesso non trovava lavoro, se non durante i periodi di semina e raccolto, e riceveva un salario che non bastava a sostentare la propria famiglia.
E mentre nell'Italia settentrionale decollava l'industria, l'economia calabrese crollava sotto il peso della precipitosa caduta dei prezzi del vino e dell'olio in particolare e dei cereali. La miseria e la povertà dilaganti alimentarono il malcontento delle popolazioni nei confronti della monarchia borbonica. In breve tempo sorsero circoli e comitati per dibattere i problemi più urgenti, dietro la spinta delle nuove idee di libertà e di progresso, per preparare le masse alle dottrine liberali. Molto efficienti furono i Comitati di Salute Pubblica di Castrovillari, Cassano, San Demetrio e Rossano.
Ma gli avvenimenti di rivolta di quegli anni erano, infatti, destinati a fallire, per il fatto che i protagonisti erano gruppi di uomini male organizzati nel coordinare le loro azioni, senza precisi programmi, che non ebbero l'appoggio delle masse. Sotto le armi borboniche caddero tra gli altri i valorosi fratelli Bandiera, giustiziati a Cosenza il 25 luglio 1844.
Nonostante nelle Province di Calabria Citra molti furono i processi e le condanne a morte dei rivoluzionari, era prossima la fine della dinastia borbonica. Anche in Calabria si respirava aria risorgimentale: le lotte e le ribellioni continuarono fino all'agosto del 1860 quando le truppe guidate da Garibaldi liberarono la regione.
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La nostra Regione, annessa al regno d'Italia dominato dai Savoia, si trovò immersa in gravi difficoltà. Con l'abolizione delle protezionistiche tariffe doganali, le medie e piccole industrie furono costrette a chiudere. Riguardo all'amministrazione statale, abolita la corte di Napoli, le più alte cariche amministrative erano ricoperte da piemontesi, ignari delle realtà meridionali, che le popolazioni del sud guardavano con diffidenza.
Nei primi anni post-unitari, sciolto l'esercito borbonico, molti uomini tornavano a casa disoccupati e con sempre maggiore bisogno di lavorare, oppressi da esose tasse.
Nacque in questo periodo la lunga e sanguinosa protesta delle popolazioni che va sotto il nome di "Brigantaggio", un fenomeno storico assai complesso. Sempre più numerose bande di briganti, appoggiate dalle masse contadine e protette dalla Chiesa, animate da un senso di giustizia sociale, si davano alla macchia. Intanto il Re Francesco II° di Borbone fomentava la rivolta popolare con la speranza di tornare sul trono.
Già da qualche secolo la Calabria si era caratterizzata per l'azione di dissenso politico verso i precedenti governi da parte di alcuni briganti, braccianti poveri, che, spinti dalla fame, saccheggiavano e derubavano nelle proprietà dei ricchi. Col passare del tempo il fenomeno si ingigantì tanto che nella sola provincia di Cosenza si contavano più di mille briganti.(8) A nulla erano servite le leggi repressive emanate con l'intento di distruggere completamente le bande che infestavano alcune province.
Nel 1863 fu emanata la "Legge Pica" che impegnava quasi la metà dell'esercito italiano per la repressione del brigantaggio. E così il nuovo Stato unitario appariva agli occhi delle masse meridionali come uno stato fortemente repressivo e fiscalista al quale guardare con sfiducia. Si acuì in questo periodo una netta separazione tra popolo e istituzioni e si andò sempre più rafforzando il legame tra questo e le grandi famiglie proprietarie.
Il governo della Italia unita con la sua politica liberale favorì lo sviluppo dell'agricoltura meridionale. L'olio e gli agrumi della Calabria venivano richiesti dai mercati internazionali, ma gli agricoltori si dimostravano poco capaci di commerciare i loro prodotti in altre regioni italiane o addirittura all'estero. Sin dalla restaurazione borbonica la cerealicoltura aveva ceduto il passo alla coltura degli ulivi e degli alberi da frutta. Ma il lavoro agricolo non era l'unica occupazione delle popolazioni meridionali nel secolo scorso. Le donne si occupavano della filatura e della tessitura della lana, del lino e del cotone, della manifattura della seta, dando vita a piccole industrie manifatturiere, a conduzione familiare.
Nel distretto di Castrovillari si produceva in abbondanza cotone, lino e seta. Abbondante era la produzione di olio, vino e cereali a Cassano e Castrovillari dove esistevano molini e frantoi idraulici. A Mormanno c'erano concerie di cuoio; fabbriche di panni a Morano e di stoviglie a Cassano; fabbriche di liquirizia a San Lorenzo del Vallo, di candele a Mormanno; vi era uno stabilimento per la brillatura del riso a Cassano; ad Altomonte esisteva uno stabilimento di vini e liquori che esportava in Europa e persino in America.
Nella II° metà dell'Ottocento la Calabria possedeva industrie metalmeccaniche che producevano attrezzature agricole, torchi e ruote dentate necessari al settore tessile. Seppure di portata artigianale e familiare, localizzata in alcune aree, l'industria meridionale a quel tempo non era di molto inferiore a quella settentrionale. Ma col passare del tempo il divario andò acuendosi soprattutto perché le grandi famiglie preferivano investire i loro capitali in altri settori, meno rischiosi di quello industriale. Anche la posizione geografica della regione, la limitata rete stradale e la politica inadeguata dello Stato unitario pesarono sull'arresto della crescita industriale delle nostre zone.
Le piccole imprese, esposte alle tariffe libero-scambiste e sottratte agli sgravi ed alle facilitazioni che avevano concesso i Borboni, furono costrette a chiudere o a subire ridimensionamenti.
E così, col declino dell'industria serica, grandi estensioni di gelsi furono tagliate e coltivate a frutteti. Non bisogna, inoltre, dimenticare che le amministrazioni locali a quell'epoca non favorirono le attività imprenditoriali e non sopperirono attivamente alla mancanza di strade e di strutture efficienti, capaci di portare la regione verso lo sviluppo industriale.
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Negli ultimi 20 anni dell'Ottocento la Calabria fu investita da una grave crisi agraria. La coltura granaria fu duramente colpita dalle importazioni di grano americano e russo; ed anche la coltura dei legumi e dell'olivo fu sconvolta. Il solo settore che si avvantaggiò, ma solo per pochi anni, fu quello della viticoltura, ma solo perché i vigneti francesi erano stati distrutti dalla fillossera.
La superficie destinata alla coltivazione del grano, granturco, avena e orzo che negli anni intorno al 1870 era di circa 382.000 ettari si ridusse a 252.000 ettari; mentre si manteneva stabile la produzione di fagioli, ceci e fave, (di cui si cibava abitualmente la popolazione).
Calarono i prezzi: un quintale di grano che nel 1881 costava 27 lire circa, diminuì a 22 Lire al quintale nell'ultimo decennio del secolo. E così il prezzo del vino passò da 35 Lire a ettolitro a 25 Lire; e il prezzo dell'olio d'oliva calò del 32%.
In questi anni di crisi, mentre da un lato si registrava un aumento della popolazione (da 1.140.396 abitanti, al censimento del 1861, si passava a 1.370.206 nel 1901),(9) dall'altro si osservava un calo del 20% dei braccianti, mentre aumentavano affittuari e coltivatori diretti.
Contemporaneamente aumentava il numero delle donne che operavano nel settore dell'agricoltura. Centinaia di donne che nei decenni precedenti erano occupate nelle industrie tessili, con la crisi del settore, si rivolsero all'agricoltura e tante altre furono costrette dalla necessità di sostentare la famiglia, dopo la partenza dei loro uomini verso terre lontane, in cerca di lavoro.
La crisi era altrettanto grave nel settore della proprietà fondiaria calabrese.
La grande proprietà, oltre 50 ettari, prevaleva generalmente nella zona pianeggiante del circondario di Castrovillari; seguivano le piccole proprietà, derivanti dalle ripartizioni che venivano assegnate in misura eguale tra gli eredi.
Il proprietario impiegava scarsi capitali nella terra, preferiva pagare un basso salario ai braccianti e si accontentava di una minore rendita. D'altra parte aumentavano i contadini, fittavoli, coloni e mezzadri. Nel castrovillarese era maggiormente in uso la "mezzadria":il colono ed il proprietario ripartivano a metà le spese per i prodotti da seminare e dividevano anche in parti uguali gli utili. I contadini dovevano accontentarsi di un misero salario che variava dai 17 ai 30 soldi al giorno; e intanto la fame cresceva.
L'imposta erariale sui terreni era aumentata nel tempo; erano cresciute le imposte sul dazio di consumo, la tassa sul bestiame e l'imposta di famiglia.
La situazione della Calabria alla fine dell'Ottocento si presentava tra le più critiche del Meridione; e la risposta a questa grave crisi fu l'emigrazione transoceanica. Dal 1880 in poi ogni giorno i paesi del circondario di Castrovillari avevano visto partire decine di uomini in cerca di lavoro nelle Americhe. Castrovillari e il suo hinterland fecero registrare nel 1901 un calo di 7.190 abitanti, proprio a causa dell'emigrazione. (10)
Contadini, agricoltori, artigiani senza lavoro si indebitavano per racimolare i soldi necessari per il viaggio verso l'Argentina, il Brasile, gli Stati Uniti e l'Uruguai. Il flusso migratorio aumentò progressivamente fino a raggiungere le 715.000 unità circa nel primo decennio del Novecento. La grande emigrazione incise, oltre che nel tessuto sociale delle popolazioni calabresi, in quello economico. Al venir meno delle braccia maschili, corrispose un aumento del lavoro femminile nella conduzione in proprio dei terreni ed un incremento della manodopera minorile. Intanto gli "americani" inviavano i loro guadagni alle famiglie rimaste nei luoghi di origine. Qui parte di quei soldi veniva messa da parte per poter comprare un appezzamento di terreno o per iniziare, al rientro in patria, una attività commerciale più remunerativa di quella agricola della quale gli emigrati da anni si erano disamorati.
Intanto mutavano idee, abitudini di vita, costumi e le rimesse degli emigrati creavano nuove opportunità d'investimento.
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Dalla grande crisi agraria di fine Ottocento non prese origine solo il fenomeno dell'emigrazione, ma iniziò a muovere i primi passi il movimento contadino. La speranza di riscatto delle masse meridionali era riposta nel futuro progresso, nel socialismo che in quegli anni cominciava a diffondersi anche nelle campagne.
Nuove realtà sociali si affacciavano sulla scena politica; i ceti popolari, da sempre esclusi, cominciavano a partecipare alla vita pubblica, grazie soprattutto alla riforma elettorale del 1882 che consentiva a chi sapeva leggere e scrivere ed aveva assolto il servizio militare di votare. L'allargamento del suffragio politico era notevole anche in Calabria: gli elettori passavano da 23 mila a 70 mila.
Con l'avanzata della Sinistra cominciavano a diffondersi le prime aggregazioni sindacali, le leghe contadine e ad emergere, dopo le Elezioni politiche del 1909, uomini nuovi, professionisti, non più appartenenti a famiglie di grandi e medi proprietari terrieri, come in passato. Così nel Collegio di Castrovillari chiudevano un'epoca i deputati Vincenzo e Francesco Pace -nipoti del Barone Toscano- che si erano succeduti dal 1871 al 1895 ed emergevano figure nuove, come il socialista riformista avvocato Attilio Schettini, eletto deputato nel 1909, ed il repubblicano Luigi Saraceni, che verrà eletto alla Camera dei deputati nel 1913. Il giovane avvocato, che insieme al fratello Silvio fondò la rivista antigiolittiana "Il Moto", aveva già dato prova della sua tempra il 1° settembre 1901 quando, a capo di un comitato esecutivo, aveva tenuto un comizio a circa 8 mila persone nel piazzale del Ginnasio, lanciando il grido di protesta:"Vincere o ribellarsi", per sollecitare la ripresa dei lavori della ferrovia Lagonegro - Castrovillari. (12)
Accanto ai primi nuclei socialisti, formati da avvocati, medici, studenti, con qualche infiltrazione contadina, andavano organizzandosi anche leghe di estrazione cattolica. La partecipazione cattolica alle lotte amministrative era guidata da ecclesiastici, tra i quali don Carlo de Cardona.
Pur tra i dissensi e i contrasti questi nuclei socialisti e le leghe "bianche" si impegnavano in una lunga lotta per la trasformazione delle condizioni economiche e sociali della regione.
Nonostante il governo, guidato da Giolitti, aveva preso delle importanti iniziative legislative a favore del Meridione: sgravi fiscali, agevolazioni finanziarie per opere pubbliche, tuttavia le condizioni delle popolazioni calabresi erano critiche.
Il terremoto che si era furiosamente abbattuto sul territorio cosentino l'otto settembre 1905 attirò l'attenzione del governo centrale che inviò l'allora ministro dei Lavori pubblici, on. Ferraris, a constatare le reali condizioni delle zone colpite dal sisma. Dopo l'inchiesta, lo Stato si assunse il carico delle spese necessarie al ripristino delle strade e delle ferrovie disastrate; creò, inoltre, l'Istituto Autonomo "Vittorio Emanuele III°" per la concessione di crediti agevolati per gli agricoltori e stabilì la concessione di mutui ai cittadini per ristrutturare le abitazioni danneggiate.
Ingiustizie, speculazioni e ritardi sulla assegnazione dei fondi per la ricostruzione dei paesi colpiti dal terremoto, fecero sì che la Legge speciale per la Calabria rimanesse sulla carta; oltretutto un piovoso autunno del 1907 aveva devastato ampie estensioni di terreno, compromettendo i raccolti nel circondario di Castrovillari. Le popolazioni, disperate, cominciarono a dare segni di insofferenza. Il 13 febbraio di quell'anno a Firmo ci fu una sollevazione popolare contro le imposte, sedata dai carabinieri; a Lungro furono occupati gli uffici del Comune; anche a Saracena, a Spezzano, a Castrovillari, a Verbicaro ed in altri centri della provincia ci furono sollevazioni popolari contro il governo giolittiano. Tali fatti richiamarono l'attenzione del governo nazionale e della stampa sulle arretrate condizioni della Calabria.
Dall'Inchiesta parlamentare dell'on. Nitti, del 1910, si ha un quadro della situazione delle popolazioni rurali e urbane nella provincia di Cosenza nei primi 20 anni del '900.
Nel circondario di Castrovillari nel 1904 erano coltivati ad avena 12.831 ettari di terreno.(13)Inoltre si coltivavano granturco, patate ed altri cereali. La maggiorparte dei terreni restavano a pascolo e a boschi; e 25mila ettari erano coltivati a uliveti. Era altresì in espansione la coltura degli agrumi, della vite e dei fichi. La maggiorparte di questi prodotti andava a soddisfare il consumo della popolazione che versava in condizioni disperate.
In quegli anni i fichi secchi ed il pane di granturco o di segala erano alla base dell'alimentazione quotidiana dei contadini. A sera, stanchi del lavoro nei campi, si cibavano di una minestra di verdure, di patate o legumi. Le famiglie più benestanti, che allevavano il maiale, facevano provvista per tutto l'anno di grasso da usare come condimento per le pietanze e di carne salata e insaccata. Questa, tuttavia, era consumata solo nei giorni di festa solenne.
In tempi di carestia e di disoccupazione c'era chi si accontentava di mangiare solo pane o erbe selvatiche cotte con poco condimento e chi poteva permettersi di variare il suo regime alimentare, consumando pane, pasta, formaggio, frutta e quanto poteva produrre nel suo podere. Le condizioni più misere le subiva la popolazione che era costretta a ricorrere al mercato per l'acquisto dei beni di prima necessità, dato l'aumento dei prezzi. Alla vigilia della grande guerra un chilo di pane costava, infatti, 50 centesimi; la carne di maiale 2 Lire al Kg; un litro di olio Lire 2,20 ed un litro di vino Lire 3,70.
Il salario di un bracciante era di 2 lire al giorno; 60 centesimi percepivano le donne ed i ragazzi.
Scarseggiavano zucchero, caffè e birra, generi entrati in uso, grazie agli emigranti, tra i ceti medi della popolazione.
In quegli anni di maggiore flusso migratorio si registrava un radicale mutamento nel tessuto sociale meridionale, una riduzione dell'alto tasso di analfabetismo (il circondario di Castrovillari contava l'80% di analfabeti) una trasformazione delle condizioni di vita, grazie alle rimesse degli emigrati.
Un certo progresso era stato compiuto anche nel settore della viabilità: la regione disponeva di 4.400 Km. di strade carreggiabili(14); ma era stata fatta cosa modesta, se i Comuni della Provincia erano in maggioranza collegati da strade sterrate in pessimo stato di manutenzione, difficili da percorrere durante i mesi piovosi.
La rete ferroviaria accusava forti ritardi di completamento. Il tronco ferroviario che doveva collegare Spezzano A. a Castrovillari ancora nel 1907 restava in progetto; il tronco Castrovillari-Lagonegro nel 1910 non era stato completato. Alla provincia di Cosenza appartenevano 475 Km di strade percorribili su 800 dell'intera Calabria.(15)
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Il malcontento della popolazione.
Negli anni bui della guerra (1915-18) la popolazione patì la fame per la mancanza dei generi di prima necessità. La produzione del grano era diminuita per il richiamo alle armi degli uomini; mancava la farina ed il prezzo della pasta aumentò da £ 0,88 a 1 £ al Kg.
All'enorme fabbisogno, insoddisfatto da frodi ed accaparramenti, la popolazione rispose con insurrezioni in vari paesi. Contro il carovita nel 1917 centinaia di donne scendevano in piazza a manifestare il loro malcontento ad Oriolo, a Mormanno, a Morano e a Castrovillari, dove circa 500, donne occuparono il Municipio. Alla fine di quel duro anno di guerra il blocco totale dei trasporti impediva l'entrata delle scorte alimentari nella regione, gettando le popolazioni nella disperazione della fame. Di fronte all'infuriare del carovita le popolazioni scesero in piazza, saccheggiando case e negozi, irrompendo nei municipi e appiccando incendi. Il 1919 fu l'anno cruciale delle rivolte. In gennaio la forza pubblica dovette intervenire per sedare le dimostrazioni della folla a Lungro, Cassano, Castrovillari ed in altri centri della Provincia. Il 27 luglio a Sant'Agata d'Esaro oltre 300 persone, in maggioranza donne, armate di accette, coltelli e bastoni, avevano scassinato 3 negozi di tessuti e uno di utensili di rame. Il 23 gennaio la Confederazione generale del Lavoro proclamò uno sciopero nazionale contro il carovita. Nell'immediato dopoguerra questa situazione di disagio andava acuendosi con il ritorno dei reduci dal fronte. Le masse contadine, che avevano costituito il grosso dell'esercito combattente ed erano partite nonostante la loro opposizione all'intervento in guerra, al loro ritorno in patria non videro soddisfatta nessuna delle promesse da parte dei governanti, prima fra tutte l'assegnazione di un "pezzo di terra".
Con il Decreto Visocchi del 2 settembre 1919 il governo riconobbe ai contadini poveri, organizzati in cooperative, il diritto di occupare le terre incolte o malcoltivate dei grandi proprietari, latifondisti, usurpatori di terre demaniali. Ma per i ritardi di applicazione del Decreto, i contadini iniziarono una lotta accanita, repressa spesso con le armi, contro i grandi proprietari, occupando le terre incolte. Le masse contadine capirono che era necessario organizzare e condurre con sistematicità la lotta che si presentava dura e difficile. Fu allora che sorsero tante diverse forme di organizzazione, di movimenti contadini in varie zone d'Italia, spesso non coordinati tra loro, ma appoggiati dai gruppi politici emergenti in quegli anni. La prima organizzazione a lottare per la conquista dei contratti collettivi fu la "Federazione nazionale dei lavoratori della terra", aderente alla Confederazione generale del Lavoro, che contava 1.145.000 iscritti, operai agricoli, mezzadri, piccoli affittuari di tendenza socialista.
Di tendenza cattolica, alle dipendenze del Partito Popolare (fondato nel '19 da don Luigi Sturzo) era la "Confederazione italiana dei lavoratori", mezzadri, piccoli proprietari, agricoltori, con 945.000 iscritti.
Poi si era costituita la "Confederazione italiana del Lavoro" di tendenza repubblicana, con 60.000 iscritti ed inoltre "L'Associazione nazionale degli ex combattenti", attiva soprattutto nel Meridione dove assunse il carattere di vera e propria organizzazione contadina. (16)
Con le Elezioni amministrative parziali del 1919 e quelle generali del '20 la borghesia fondiaria fu disfatta completamente e le masse contadine, sempre più emergenti e politicizzate, fecero importanti conquiste.
Ai piccoli affittuari ed ai coloni vennero riconosciuti i "contratti collettivi". I proprietari rinunciavano ad imporre contratti individuali e scendevano a patti con i contadini. Erano abolite le odiose forme di sfruttamento, i privilegi padronali ed il feudale contratto di "terzeria". Con il sistema di terzeria i proprietari imponevano al colono il tipo di prodotto da coltivare nelle loro terre e non affrontavano spesa alcuna, in quanto concime e sementi erano a carico del contadino. Al momento del raccolto il proprietario prendeva i due terzi del prodotto e lasciava al contadino solo un terzo, insufficiente a sfamare la famiglia. Vennero aboliti anche gli "usi" di fornire giornate lavorative, senza retribuzione, nelle terre del proprietario, di portare al padrone ogni settimana un certo numero di uova e galline, inoltre venne abolita la somma per il fitto della casa colonica.
Con i nuovi contratti , soprattutto di mezzadria, il contadino divideva a metà le spese con il proprietario del fondo che coltivava e spartiva il raccolto. I lavoratori agricoli, salariati giornalieri e annuali ottennero un aumento della paga e una riduzione delle ore lavorative nella giornata.
In questo periodo cominciarono a proliferare cooperative agricole ed edilizie sostenute da gruppi politici, con la speranza di trovare lavoro ai tanti disoccupati.
Alle Elezioni del 1920 avevano riportato vittorie elettorali i candidati del partito dei Combattenti; mentre si trovava in difficoltà il partito socialista che al Congresso di Livorno del 1921 si spaccherà in due: nacque allora il Partito Comunista d'Italia, che presentò una sua lista alle Elezioni politiche, riscuotendo ampi consensi. Non presentarono una loro lista i Fascisti che si erano riuniti a San Lucido nel 1° Congresso regionale. Da quel momento le "camicie nere" cominceranno a caratterizzare il loro operato politico, scontrandosi con i socialisti che in quegli anni appoggiavano i contadini contro i proprietari per l'occupazione delle terre.
Le annate dal '20 al '22 furono costellate da ondate di scioperi e varie insurrezioni popolari contro il rialzo incessante dei prezzi e il ritardo del completamento dei lavori di opere pubbliche, appaltate già da un decennio. Il 16 ottobre 1921 la popolazione di Castrovillari entrò in agitazione per chiedere il completamento del tronco ferroviario Lagonegro-Castrovillari, (della questione si era già interessato il deputato Saraceni). Nel dicembre del '21 i contadini di Firmo occuparono il fondo di Serra Giumenta, di proprietà dei Principi Bisignano. Nel febbraio '22 ci fu uno sciopero a San Lorenzo del Vallo; in agosto a Morano ed in altri centri della zona.
In quegli stessi anni andavano emergendo i primi nuclei fascisti, costituiti soprattutto da giovani di estrazione piccolo-borghese, alla ricerca di un mutamento sociale della regione, di identità e di affermazione politica.
Nel 1920 la provincia di Cosenza contava 115 iscritti al Partito fascista; nel 1921 ne contava: 363; nel 1922 :1036 iscritti.(17)
Questi primi nuclei fascisti che operavano prima della marcia di Mussolini su Roma (ottobre '22) non avevano ancora una valenza politica di rilievo.
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La Prima Guerra Mondiale e la Calabria approfondisci >>
Il ventennio fascista.
La "fascistizzazione" della Calabria ha radici in fenomeni di diversa natura; e la composizione sociale della organizzazione fascista nelle campagne si differenzia da quella delle città.
Nei centri urbani del Paese i promotori del movimento erano i commercianti, gli industriali, i quali sovvenzionavano con laute somme di denaro l'azione dei "fasci" e davano loro l'appoggio della polizia.
Nei Comuni rurali dopo i primi movimenti nati dalla piccola e media borghesia, delusi dai risultati della guerra e dall'immobilismo delle condizioni della società, i fondatori dei primi fasci furono i grandi proprietari ed i grandi affittuari che avevano in mente di appoggiare le "squadre di azione" per indebolire le organizzazioni contadine "rosse", e sopprimere i contratti collettivi, con la forza e con il terrore.
Una volta al potere il Regime fascista si caratterizzò per i suoi metodi dittatoriali e di accentramento dei poteri. In un regime a partito politico unico e senza libertà civili ogni dissenso era punito; cosicché il regime godeva di un ampio consenso "passivo" tra la popolazione; ciò non significa, però che il governo fascista non abbia goduto di ampi consensi tra la popolazione italiana. Negli anni trenta il consenso intorno al regime si realizzò anche attraverso una serie di forme di assistenza e previdenza sociale, quali INPS, INAIL, ONMI ed inoltre con la distribuzione di pacchi dono (befana del soldato ecc...). Nell'intento di migliorare le condizioni di vita della popolazione il Regime curò in modo particolare l'assistenza all'infanzia con le colonie marine e montane per i figli dei lavoratori; istituì L'Opera Nazionale Dopolavoro e curò le organizzazioni sportive. Il Duce stesso incitava i giocatori a battersi per la vittoria, significativa per la gloria dell'Italia. Nasceva lo stato assistenziale che, con la conquista dell'Etiopia, raggiungeva il massimo consenso.
Tuttavia esistevano delle forme di opposizione clandestina tenute in vita soprattutto da coraggiosi comunisti e socialisti che subiranno arresti, intimidazioni e violenze.
Tra le prime riforme attuate dal Regime al potere fu la soppressione dei Consigli comunali eletti dal popolo al posto dei quali il governo nominò il Podestà, (Legge 4 febbraio 1926). Il Podestà è libero di prender personali iniziative nei riguardi della popolazione, (tasse, dazi ecc..) e può disporre come crede dei fondi del Comune, costituiti dalle imposte pagate dai cittadini; deve rendere conto dei suoi atti solo al Prefetto.(18) Il popolo ha il solo dovere di sottomettersi e ubbidire. Nei comuni agricoli di solito il Podestà era un grande proprietario terriero, designato dal governo dietro segnalazione della borghesia fondiaria. Tra i podestà nominati nel 1926 nella zona del Pollino ricordiamo l'avvocato Francesco Pace a Castrovillari, Il geometra Filippo Rizzuti a Frascineto e Civita, L'avvocato Costantino Capalbi a Morano, il colonnello Giuseppe Cornacchia a Mormanno, il maggiore Angelo Forte a Saracena, l'avvocato Francesco Drago a Cassano, il Barone Luigi Longo a Spezzano e San Lorenzo del Vallo e il conte Angelo Giannone ad Acri.
Nei territori dove maggiormente si era sentito il movimento contadino si cercava, con ogni mezzo, di ristabilire l'ordine e la legge. E l'occasione propizia la offrirono i Decreti dell'11 gennaio 1923 ed il successivo del 10 settembre dello stesso anno che annullavano il Decreto Visocchi e dichiaravano illegali le occupazioni di terre già avvenute. I contadini furono cacciati dalle terre, già coltivate e prossime al raccolto, che tornavano così in mano ai grandi proprietari, che vivevano nelle grandi città, lontani da quelle realtà.
L'attenzione del governo alla realtà calabrese fu influenzata dal fatto che ai vertici del potere politico nazionale stavano leaders calabresi, come Michele Bianchi, diretto collaboratore di Mussolini. Segretario generale del PNF, quadrunviro della marcia su Roma, tornerà più volte a visitare la Calabria tra il '22 ed il '29, per ricostruire su più solide basi il suo ruolo politico, raccogliendo sempre maggiori consensi, come ministro dei Lavori Pubblici.
L'impegno finanziario e tecnico del Regime nei confronti del Meridione era ispirato dal principio della esaltazione della "ruralità" e della "colonizzazione" fascista.
Nel gennaio del 1925 venne lanciata la "battaglia del grano" e nel '28 iniziò l'opera di bonifica.
Lo stato aveva concesso vantaggiosi prestiti ai proprietari fondiari, ai grandi produttori di grano, per stimolare l'aumento della produzione granaria e dei cereali. Ma la demagogica battaglia del grano spesso si risolse con l'obbligo per il contadino di utilizzare una maggiore quantità di concimi chimici ai prezzi imposti dagli industriali.
La Montecatini, d'accordo con la Banca Commerciale Italiana ed in stretto legame con la Federazione nazionale dei Consorzi Agrari, deteneva il monopolio dei prodotti chimici e degli insetticidi necessari all'agricoltura. La maggiorparte dei grandi proprietari, azionisti della Montecatini, continuavano a dare duri colpi all'economia contadina.
Al governo fascista stava a cuore la soluzione del problema agrario meridionale quanto la penetrazione dell'ideologia di regime nelle stesse campagne del Sud. Cosicché con le Leggi del '28 e del '33 iniziò la Bonifica Integrale per prosciugare i terreni paludosi, eliminando la malaria e rendendoli atti alle colture. Allo stesso tempo vennero forniti ai coloni i mezzi necessari alla coltivazione, vennero costruite strade interpoderali e abitazioni rurali.
I lavori di bonifica non verranno portati a termine, come nei progetti iniziali, ma il lavoro compiuto diede una svolta all'assetto economico-sociale delle zone bonificate. Le zone montane furono abbandonate in favore delle zone pianeggianti dove però ampie estensioni di pascoli e boscaglie furono dissodate e coltivate a frumento e ortaggi. Durante gli anni Trenta il Regime perseguì un ambizioso progetto di bonifica su un territorio di circa 140.000 ettari, dalle falde del Pollino alla Sila greca, dove dominava la grande proprietà estensiva: si trattava di terreni tenuti in fitto dai coloni che li facevano lavorare, utilizzando
manodopera salariata o li subaffittavano per un tempo determinato ai contadini, in "terraggera".
La piana di Sibari delimitata a nord dal torrente Saraceno e a sud dal Coriglianeto, divisa in due dal grande fiume Crati con vari affluenti, in vari punti straripanti, si estendeva per 32.000 ettari in preda agli acquitrini, priva di strade e spopolata dalla malaria. Anche il territorio appartenente ai Comuni di San Lorenzo del Vallo, Spezzano Albanese, Terranova e Tarsia che si estendeva per circa 16.000 ettari era in preda alla malaria.(19) In questi comprensori, soprattutto, operò dal 1928 al '35 la Società Anonima Bonifiche del mezzogiorno. Nella sola piana di Sibari furono realizzati lavori di arginamento e canalizzazione delle acque irrigue, costruite strade e case coloniche per una spesa di circa cento milioni di Lire. Quasi 1.500 ettari di terreno di proprietà dei Toscano furono coltivati e strappati alle paludi, portatrici di malaria. Proprio nella zona di Cassano lo Stato non trovò la resistenza dei grandi proprietari alla realizzazione del suo progetto di bonifica, come in altre zone della Calabria dove il ceto dirigente locale si oppose alla trasformazione dell'agricoltura che il Regime imponeva. Le trasformazioni agricole e i lavori di bonifica operati dal Fascismo furono interrotti dall'avvento della guerra e finirono nel totale disinteresse.
Nel Ventennio fascista nelle zone pianeggianti del circondario di Castrovillari prevaleva il latifondo; inoltre esistevano piccole aziende di circa 10 - 15 ettari nelle vicinanze dei centri abitati e più lontano le medie aziende di 50 e più ettari. In queste aziende prevalevano ancora forme di colonia che stremavano sempre più la classe contadina, la quale anche in un periodo di repressione non poté fare a meno di manifestare il suo malcontento. Nel 1934, infatti, a Mottafollone la popolazione insorse e i contadini occuparono le terre di proprietà ecclesiastica; a Castrovillari nel 1930, la domenica delle Palme, una marea di donne, uscendo dalla Chiesa, si ritrovò unita per assaltare il Municipio, aggredendo il Podestà Francesco Pace che aveva imposto una tassa sul consumo dell'acqua nelle case in cui erano stati installati i contatori, con metodi autoritari.
In sostanza le lotte delle popolazioni, martoriate dalla disoccupazione e dalla crisi economica, continuarono, sfidando la Legge e subendo arresti e detenzione.
Agli inizi degli anni trenta quando si registrava un aumento della popolazione, favorito dalla Legge mussoliniana sulla famiglia che assegnava premi in danaro alle famiglie prolifiche, la guerra coloniale d'Africa, in cui si erano arruolati migliaia di calabresi, sembrava dare qualche sollievo alla disoccupazione ed alle condizioni di miseria con le pur modeste rimesse degli arruolati e con i sussidi alle famiglie.
E poi venne la Guerra mondiale con le sue distruzioni, con la mancanza di manodopera, con i bassi salari e l'aumento dei prezzi dei generi di prima necessità, che scarseggiavano. Nel periodo di guerra i ceti popolari più deboli avevano patito la fame e vivevano in condizioni di sottoalimentazione. I generi primari di consumo erano razionati: si consumava per lo più solo un piatto di pasta ed una fetta di pane. Altri generi come carne e zucchero si trovavano a caro prezzo al "mercato nero", che diventò molto fiorente. Cosicché la popolazione urbana subiva gravi privazioni soprattutto nei primi due anni di guerra. Di questa situazione beneficiarono i grandi proprietari che imboscavano una parte dei cereali, destinata all'ammasso, che veniva venduta poi al mercato nero.
Quando nel settembre 1943 l'armata alleata anglo-americana sbarcò in Calabria la popolazione calabra versava in condizioni di grave disagio, provata dalla fame, dagli sfollamenti, dai bombardamenti aerei.
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All'indomani della liberazione dalla dittatura fascista la Calabria si trovava a dover affrontare problemi economici e politico sociali molto difficili. La guerra e la caduta del Fascismo avevano profondamente scosso il vecchio sistema politico. Nel "Regno del Sud" liberato, mentre nel centro-nord si instaurava la mussoliniana Repubblica di Salò, gli alleati cominciavano l'opera di "epurazione" e di riorganizzazione delle strutture comunali. Opera certo non facile, se pensiamo alla difficoltà oggettiva che incontravano le Commissioni provinciali nel poter distinguere i soggetti da allontanare dai posti di comando nella vita pubblica. Immediatamente i podestà furono sostituiti ed alcuni Prefetti arrestati.
Intanto che il movimento di Resistenza dava al nord un'impronta rivoluzionaria e progressista, il sud sembrava retrocedere su posizioni conservatrici, con lo sviluppo di movimenti separatisti, qualunquisti e di banditismo che contrastavano con le esigenze di cambiamento che urgevano allora nel Paese. La Calabria continuava a restare "periferia". Sulle masse popolari pesavano anni di rassegnazione a governi oppressivi che forse non erano diversi dal Regime che stava crollando. Tuttavia questi movimenti ebbero vita breve, perché proprio nel periodo dal 1944 al '47 si verificò un fenomeno nuovo: le masse contadine, da sempre emarginate, cominciavano ad organizzarsi e ad aggregarsi alle forze politiche e sindacali.
La lotta per la terra era la "resistenza" delle masse calabresi.
Le popolazioni versavano in uno stato di disagio, di miseria e di fame, per il continuo aumento del costo della vita e per la difficile ripresa delle attività produttive. Il razionamento avviliva sempre più la popolazione: 150 grammi di pane pro capite al giorno e 40 di farina; 100 grammi di legumi secchi, 250 gr di brodo in polvere e 200 gr di zucchero al mese.(20)
Nascevano i partiti di massa anche in Calabria, appoggiati dalle organizzazioni sindacali che mobilitavano i contadini. A queste organizzazioni si iscrivevano militanti democristiani, socialisti e comunisti, desiderosi di protezione o di risoluzioni positive della lotta politico-sociale.
Così nell'agosto del 1943 si riformò il Partito Socialista di unità proletaria, nel quale convergevano l'ala riformista e quella massimalista del Partito socialista, favorevole all'unità d'azione con il PCI. Il partito Comunista, infatti, nel '44 aveva ripreso la sua attività, sotto la guida di Togliatti che lanciò un programma di collaborazione con altre forze antifasciste, per costruire uno Stato "democratico". Il Partito Popolare di Don Sturzo si chiamò Democrazia Cristiana e fu guidato da Alcide De Gasperi. Questa formazione politica moderata ereditava dal cooperativismo "bianco" l'attenzione ai problemi sociali. Intanto si faceva strada una nuova formazione: il Partito d'Azione, di estrazione liberal-socialista. I rappresentanti di questi partiti antifascisti parteciparono alla formazione del primo Governo Badoglio nella primavera del '44, mentre continuava la guerra di liberazione. Il sud, che non aveva avuto una vera e propria Resistenza, aveva conosciuto la guerra, lo scontro tra eserciti opposti che aveva sconvolto le campagne e scosso dal torpore la popolazione contadina. La Calabria, in effetti, non combattè la lotta di Resistenza: all'annuncio dell'Armistizio, i Tedeschi si erano velocemente ritirati. Quando all'alba del 3 settembre 1943 i reparti dell'ottava armata inglese sbarcarono sul lungomare di Reggio Calabria, la città al centro del mediterraneo, la popolazione smise di cibarsi di gabbiani, di raccogliere i pesci morti per le bombe scoppiate in mare e di fumare sigarette ricavate dalle foglie secche delle melanzane. Con gli alleati erano arrivati anche la carne e i piselli in scatola, le gomme americane, il pane bianco, il latte condensato, le sigarette, i dischi di jazz, il boogie-woogie, ma soprattutto i primi segni di libertà.
E mentre gli alleati continuavano l'opera di liberazione, accolti con esultanza dalla popolazione, il Tribunale Speciale, tramite le sue commissioni provinciali, continuava a condannare al Confino gli antifascisti. Furono condannati 17 calabresi, tra cui il fotografo Angelo Iannelli ed il tipografo Eduardo Patitucci di Castrovillari e l'agricoltore Raffaele Cirigliano di Saracena.(21)
L'armata del generale Montgomery, risalendo attraverso la regione, giunse nella valle del Crati e prese il comando del Campo di concentramento Ferramonti di Tarsia, lasciando liberi i duemila ebrei internati.
Il 2 giugno 1946 fu indetto un Referendum, per risolvere la questione istituzionale dello Stato: Monarchia o Repubblica.
In Italia la consultazione ebbe il seguente risultato: 12.717.923 voti alla Repubblica; due milioni di voti in meno alla Monarchia.
Ma quest'ultima ebbe la maggioranza dei consensi proprio al sud: (il 40% sulla media nazionale).
Il re Umberto II°, "il re di maggio", succeduto al padre Vittorio Emanuele III° nel maggio '46, dopo un mese fu costretto all'esilio.
Finiva un'epoca.
E il segno della svolta lo davano le Elezioni politiche per l'Assemblea Costituente, che avrebbe dovuto redigere il testo della nuova Costituzione.
Alle prime Elezioni a suffragio elettorale universale la DC aveva ottenuto il 35% dei voti e 207 seggi alla Camera dei Deputati;
Storia della Calabria
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