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STORIA: IL TEATRO GRECO approfondimenti degli alunni di 1°G

Si pensa che il teatro greco abbia avuto origine dalle feste religiose in onore del dio Dioniso. Durante queste feste, che si svolgevano in primavera, gli abitanti di Atene formavano delle processioni, durante le quali eseguivano canti, che terminavano con un sacrificio davanti ad un altare della divinità.
La tradizione attribuisce le prime forme di teatro a Tespi verso la metà del VI secolo a.C., giunto ad Atene su un carro su cui trasportava degli attrezzi di scena, arredi, costumi e maschere. Egli ebbe grande successo in tutta la Grecia tanto che fu necessario farlo partecipare alle feste dionisiache.
Lo spettacolo teatrale veniva ritenuto un complemento essenziale nell’educazione dei cittadini. La partecipazione alla festa teatrale, infatti, era richiesta come per altre grandi occasioni della vita sociale della città, e veniva retribuita con dei compensi per il tempo lavorativo perduto.
La polis era organizzatrice degli spettacoli e al tempo stesso loro destinataria; oggetto di riflessione della rappresentazione drammatica era la comunità intera, col complesso dei suoi problemi. Il teatro era  il luogo che rappresentava le contraddizioni che laceravano la città (politiche e di classe) e le coscienze dei suoi membri (esperienze psicologiche fondamentali: la morte, la paura, la giustizia). In questo modo esso svolgeva di fronte all’intera città una fondamentale funzione educativa, celebrando i valori comuni, ma anche rendendo comprensibili i conflitti di base.
Già nei palazzi cretesi di Cnosso e Festo esistevano degli spazi destinati a rappresentazioni religiose e corali racchiusi entro gradinate rettilinee o a squadra. In Grecia, in origine, il teatro era costituito semplicemente da un declivio naturale attrezzato probabilmente con panche di legno dove prendeva posto il pubblico e da uno spazio piano (l’orchestra) dove aveva luogo la rappresentazione con alle spalle un semplice fondale mobile (la scena) di tela. La più antica struttura teatrale conosciuta è quella di Poliochni, nell’isola di Lemno, antica di circa tremila anni. Essa era di forma rettangolare allungata, dove gli attori recitavano su un palchetto di pietra. Col passare del tempo le strutture mobili e in legno acquistarono carattere più solido a partire dal V secolo. Ma soltanto nel corso del IV secolo a.C. l’edificio teatrale acquistò una rilevanza oltreché per la propria funzione, anche dal punto di vista architettonico.
L’edificio teatrale greco, all’aperto e sprovvisto di tetto, constava di tre parti: orchestra, cavea, scena; una struttura che si ripete pressoché costante in Grecia, in Asia Minore, in Sicilia.

• L’orchestra era lo spazio riservato ai movimenti del coro, dietro al quale c’è la scena che serve agli attori. Aveva forma semicircolare del diametro in media di 20 metri.
• La cavea (il cui nome originario era Theatron, luogo in cui si vede), le scalinate dove sedevano gli spettatori, erano prevalentemente a semicerchio perché più razionali per guardare, per accogliere i suoni.
• La scena, in origine costruzione provvisoria, si trasformò successivamente in una costruzione in legno ed in seguito in pietra.
Non esistono in nessun teatro tracce di servizi igienici.

L’acustica ebbe un peso dominante nello sviluppo del teatro greco, per aumentare la sonorità dell’ambiente. La larghezza limitatissima del palcoscenico si può spiegare con la necessità che gli attori non si allontanassero mai troppo, durante lo spettacolo, dal fondo della scena, rischiando di perdere così l’effetto di rinforzo della voce.
I generi che solitamente venivano rappresentati erano la tragedia, il dramma satiresco e la commedia.
La tragedia (da tragos cioè capro, l’animale che simboleggia Dioniso) pare tragga la propria origine dai cori fatti in onore di Dioniso, che da spontanei assunsero via via forma di cantici da cerimonia, cantati sotto la direzione di un capo.
Del dramma satiresco non si conosce l’origine, alcuni storici pensano che si tratti della prima forma di dramma da cui deriveranno poi la tragedia e la commedia. Si sa per certo che Pratina inventò il dramma satiresco nel VI secolo a.C. Il nome deriva dal coro dei Satiri che accompagnava Dioniso, e si esprimeva con un linguaggio osceno e con danze frenetiche.

Durante le Dionisie cittadine si faceva un concorso tra varie tribù dell’Attica per stabilire quale fosse il miglior cantico ditirambico (canto corale in onore del dio Dionisio) e un concorso tra poeti Greci con in palio tre premi da assegnare: al miglior corega, al miglior poeta e al miglior attore. Oltre alla tragedia, più tardi verso il 501 a.C., si introduce nelle gare il dramma satiresco e solo nel V secolo a.C. la commedia.
Gli Autori Greci di tragedie del VI sec. a.C. sono: Tespi, Cherilo, Pratina e Frinico. Di essi non conosciamo alcun dramma.
Gli autori Greci di tragedie del V sec. a.C. sono: Eschilo, Sofocle ed Euripide.
Eschilo (525-456 a.C.) è autore delle tragedie: Le supplici, Prometeo Incatenato, I persiani, I sette contro Tebe, la trilogia dell'Orestea (Agamennone, Coefore, Eumenidi). Egli nei suoi drammi affronta soprattutto i problemi della giustizia e dell’impotenza dell’uomo di fronte al destino.
Sofocle (496-406 a.C.) è autore delle tragedie: Aiace, Antigone, Edipo re, Elettra, Le Trachinie, Filottete, Edipo a Colono. La volontà dell’uomo è al centro dei suoi drammi.
Euripide (480-406 a.C.) è autore di alcune tragedie fra cui Ecuba, Elena, Elettra, Eracle, Ippolito, Le Baccanti, Le Fenicie, Le Supplici, Le Troiane, Oreste. Nei suoi drammi prevale la critica verso il senso di giustizia degli dei, e servendosi dei miti Euripide afferma che l’uomo nella vita non fa altro che soccombere al caso.
La tragedia di Eschilo, Sofocle, Euripide e degli altri tragici minori dell’età classica consiste essenzialmente in una serie di episodi recitati, alternati con cori (in versi lirici). Vi sono poi parti miste: dialogo lirico tra attori e coro, monologo dell’attore, dialogo lirico tra attori.
La serie degli episodi e dei cori che costituiscono l’azione tragica è preceduta di solito da un prologo recitato e che serviva ad informare il pubblico degli antefatti dell’azione drammatica. Successivamente al prologo vi era un canto d’ingresso eseguito dal coro. In seguito vi erano gli episodi, in genere tre o quattro, costituiti o da monologhi o da dialoghi.
allestimento contemporaneo di una tragedia di Sofocle
Non era un mestiere semplice quello degli attori: non essendoci l’abitudine di utilizzarne più di tre per spettacolo dovevano sostenere le parti maschili e quelle femminili, e si cimentavano, nel corso della recita, in doppie e triple parti. Il protagonista aveva il ruolo di preminenza e gli altri attori pur importanti, dovevano sottostargli. L’attore tragico antico, nell’immaginario moderno, era una figura imponente, dalla fronte allungata, con occhi fissi, bocca aperta. Doveva possedere una voce tonante, ottima dizione, saper cantare. La voce era molto importante per gli attori Greci, la bravura stava proprio nel modularla con diverse tonalità per interpretare in modo credibile i diversi ruoli. Inoltre poiché portavano la maschera che dava fissità espressiva al loro volto, dovevano muoversi con eccezionale capacità mimica col resto del corpo.
L’assenza di donne attrici non può stupire: ad Atene la donna per tutto il quinto secolo visse in condizioni di semi-clausura: lavorava in casa, usciva solo in occasioni solenni (matrimoni e funerali) e, pare, per assistere alle rappresentazioni teatrali.
Sui testi gli attori si permettevano aggiustamenti e miglioramenti.
Quando il coro interveniva col canto e la danza, gli attori avevano il tempo di andarsi a cambiare per un nuovo travestimento. Infatti, accanto alle voci soliste, esiste nel teatro attico fino alla fine del V secolo una voce collettiva: il coro (15 persone per la tragedia, 24 per la commedia). Lavorare nei cori pare facesse bene alla salute, l’esercizio fisico a cui erano sottoposti li rendeva abili a combattere. All’allenamento, comunque, i coreuti trovavano gradevole compenso nei pranzetti ad essi riservati. Nella tragedia il coro prendeva posto nell’orchestra disponendosi in cinque file, l’ingresso avveniva con una certa compostezza a passo cadenzato. Nel corso della tragedia nei momenti più dolorosi il coro intonava una melodia triste facendo eco al parlato gemente di un personaggio. Quando il coro tragico non era attivo forse si disponeva ai limiti dell’orchestra rimanendo immobile sul fondo; in alcuni casi il coro si allontanava con un personaggio dalla scena, e dopo rientrava.
Attori e coro portavano una maschera che copriva di solito volto e testa. Forse essa assolveva anche un compito pratico di amplificazione, con una specie di piccolo imbutino posto davanti alla bocca, ma l’effetto megafono non è così certo.
Riguardo le maschere abbiamo notizie da Polluce (II sec. d.C.). Da lui si evince che le maschere usate dagli attori Greci erano molte, fatte di stoffa gessata, corredate da parrucche.
mosaico rappresentante maschere teatrali
Gli attori avevano la faccia dipinta in bianco quando interpretavano le figure femminili e più scura quando interpretavano invece quelli maschili; i capelli erano biondi per un giovanetto, bianchi per un vecchio, mentre erano neri per un uomo maturo. Il pubblico, spesso, riconosceva il personaggio dalla maschera che egli indossava, cosicché, all’attore bastava un solo cambiamento di maschera e quello di un mantello, per cambiare personaggio.
Gli attori tragici indossavano il chitone, una veste che scendeva fino alle caviglie, con maniche lunghe adottate da Eschilo per impedire che una bella fanciulla rivelasse braccia da lottatore, dato che gli attori erano uomini. Altro capo essenziale è il mantello ampio e avvolto intorno al corpo.
Per la donna un capo di abbigliamento era costituito anche dal peplo, un abito lungo fino ai piedi, di lana. Naturalmente il re portava una corona, i vecchi si appoggiavano a un bastone e così via altri accessori per caratterizzare i personaggi.
La calzatura abituale della tragedia fu il coturno, un calzare a mezza gamba, basso e largo. Più tardi fu fornito di suole alte, e gli attori accrebbero così la propria statuarietà a scapito della scioltezza dei movimento. In testa l’attore aveva un diadema o una ghirlanda o un berretto frigio (se troiano). Le donne, se sprovviste di velo tenevano i capelli raccolti. Contribuivano a ergere l’attore anche gli onkos, delle parrucche molto alte.
Il coro, non si distaccava dal vestire dell’uso quotidiano, cittadino o contadino.

scena di commedia greca da una pittura vascolare
Il più scatenato e cattivo dei nostri loggioni, si potrebbe definire tranquillo al confronto delle platee ateniesi del V e del IV secolo. Lasciando stare le clamorose contestazioni contro un attore, la gente esprimeva la sua antipatia anche contro chi entrava a teatro e non era gradito. In segno di disapprovazione si masticavano rumorosamente i cibi, si tiravano proiettili di ogni genere, fichi, olive, verdure (non pomodori: i greci lo avrebbero anche fatto, ma non li avevano), sassi. Ci si alzava in piedi a protestare, a chiedere spiegazioni.
Come sempre succede, a teatro c’era lo spettacolo nello spettacolo: il maleducato applaudiva quando gli altri fischiavano, e ruttava per far voltare la gente dalla sua parte.
Anche gli schiavi avevano diritto di accedere a teatro. La rappresentazione teatrale poteva durare dall’alba al pomeriggio, dunque lo spettatore greco mangiava e beveva a teatro, senza mai allontanarsi.
Il teatro Ateniese era alimentato, finanziariamente, da sovvenzioni statali e private. Per pagare l’ingresso ai cittadini il denaro veniva attinto da un fondo speciale, nel quale affluivano le eccedenze della varie casse.
Ai cittadini più ricchi toccava il compito di trovare e pagare i componenti del coro, i costumi, e il ricevimento.
Anche in Atene, il biglietto non lo presentavano i furbi e le autorità: i primi tentavano di entrare a spettacolo già iniziato, alle altre erano riservati i posti migliori. Erano molti a rivendicare il diritto alla bella sistemazione, minacciando ritorsioni se non venivano accontentati.

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