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Polsi: Un santuario nel cuore d'Aspromonte

Polsi: Un santuario nel cuore d'Aspromonte

Mar, 28/08/2012 - 11:18
Il 2 settembre si celebra la festa della Madonna della montagna. Centinaia i fedeli che accorrono ogni anno
Polsi: Un santuario nel cuore d'Aspromonte
“Quandu arrivaru a Bovalinu si ‘nd’ha morutu lo picculinu… e lu posaru supa l’artaru…”, e litanie e pianti salirono lungo le fiancate aspromontane, strette attorno a Polsi. Il principe di Roccella fu adagiato nella piccola bara di legno, mentre il dolore piegò i nobili Carafa. Stettero così, impotenti, col capo chino davanti alla Madonna. Era il 1773.
Oggi, mentre risaliamo la terrosa strada che corre lungo le montagne, i nostri sguardi abbracciano Pietra Cappa. San Luca resta silenziosa alle spalle. Dopo ore e ore di cammino Polsi finalmente si mostra, coccolata e protetta da alte pareti verdeggianti, nella sua struggente delicatezza. Un mare di gente colora ogni stradina, così scriveva Corrado Alvaro: «Vanno i fedeli in lunga teoria, uno dietro l’altro, affratellati dallo stesso pensiero. Sembran carovane di gente che abbandonino il loro paese e si trasportino tutto, incluse le loro tradizioni e le cose più care…». Di Polsi, in questa mattinata estiva, viviamo il tormento. Ogni senso è catturato e turbato dalla crudezza della vita. Forte l’odore di bestiame che giunge a tratti, forte la vista di una natura selvaggia e sfrontata, forte anche il dialetto, a cui siamo avvezzi, ma che qui assume dei suoni del tutto indipendenti. Per strada la gente balla, prega, mangia, giunge a piedi anche da molto lontano. Il tempo di rinfrescarsi dalla polvere, nelle cellette messe a disposizione dalla Chiesa, poi alle dieci tutti a messa. È questo il vero punto d’incontro. La voce del parroco rompe il mormorio confuso della gente.
Subito scende il silenzio. Seduti a terra con le spalle appoggiate al muro, gli occhi socchiusi, ascoltiamo le sue parole, le antiche canzoni dialettali, la voce dei fedeli. I bambini giocano sui gradini, molta gente si confessa, tanta si commuove.
Dice la leggenda che, circa mille anni fa, un toro si portò ove poi sarebbe sorto il santuario e lì cominciò a scavare con le zampe, finché dalla terra non venne fuori una croce di ferro. Alla sua vista il toro piegò le ginocchia in atto di adorazione.
La croce dissotterrata era greca e apparteneva ai monaci basiliani. Il 30 agosto 1881 fu un giorno memorabile. Enrico Macrì fece fondere l’oro dei fedeli e fece realizzare due corone d’oro massiccio che, da allora, sono visibili sul capo della Madonna della Montagna e del suo Bambino.
Gli episodi che, in realtà, intrecciano la storia di Polsi con quella di altri fedeli sono davvero numerosi. Anni e anni in cui, uno dei santuari più inaccessibili della storia, ha segnato la vita di gente di vario rango. Ammiriamo l’antica statua di tufo, scolpita nel XVI secolo dai siciliani. Quegli occhi neri ci osservano dall’alto. Di colpo non c’è più nessuno attorno a noi, sembra che qualcuno ci legga il cuore, sembra che voglia farci piangere le lacrime che teniamo soffocate, una strana energia per ridare il coraggio di sognare. Il parroco intona una preghiera. La messa sta per finire. La voce austera risuona nella piazza mentre canta il Padre Nostro “e rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori…”!
Ecco, siamo a casa.
Le lacrime della madre di Roccella bagnarono i piedi della Madonna di Polsi. Composto e straziante il dolore di mamma, mai mutato dai secoli.
Ma, nel 1773, accade qualcosa “e, cantando la litania, lu piccolino chiamava a Maria”...
 
     

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